Nascita del Servizio Pubblico
Rai, 70 anni fa il debutto della tv italiana: da Carosello a Bongiorno, ode al focolare degli italiani
Un po’ religione laica, un po’ rito collettivo, la tv ha accompagnato il Paese del Dopoguerra fino al boom: dalle lezioni di Manzi al teatro di Goldoni, la “radio con gli occhi” è stata la nostra finestra sul mondo
Cultura - di Fulvio Abbate
Il filo della Televisione. Occorre immaginarlo steso sul nostro paesaggio quotidiano, così da settanta anni; addirittura 70, pensa. Sotto l’acronimo Rai, tre lettere a suggerire quasi una pubblica ulteriore religione non meno monoteista.
Rai, così il suo nome, il suo segno. La Televisione dunque come suo occhio, posto lassù in alto, per editto di Stato ufficiale e insieme divino, allo stesso modo dell’In Hoc Signo Vinces apparso in cielo al tempo dell’imperatore Costantino.
La televisione resta, a suo modo, una radio munita di occhi, e voce, ed è così che giunge al mondo nei primi giorni di gennaio del 1953, quando il mondo di tutti o quasi era ancora segnato dal dominio del bianco e nero.
Nell’iconografia della memoria primordiale, la Televisione, emanazione del Servizio pubblico, la sigla Rai presente anche sulle fiancate dei suoi mezzi di trasporto, c’era modo di vederla presente nei bar e nelle latterie meglio forniti e accoglienti, focolare e insieme assemblea, raduno, spettacolo…
Diversamente dal buio necessario nelle sale cinematografiche, era possibile guardarla perfino a luci accese, e il suo pubblico, gli astanti, coloro che assistevano al miracolo osservando tutto dallo spioncino dei Telefunken lì tutt’intorno.
I cameramen allora, si sappia anche questo, indossavano il camice bianco, come fossero chirurghi, infermieri, barellieri, ferristi, c’era addirittura qualcosa di sacrale nel loro compito. Si racconta ancora che uno di loro, rivolto a papa Giovanni XXIII, preoccupato per l’effetto fotografico, pronunciò queste parole: “Santità, il bianco spara”.
Sembra che l’ospite solenne, mettendo da parte ogni etichetta, abbia provveduto diligentemente a coprirsi con una cotta rossa. La televisione, anzi, il Televisore, si mostrava allora accostato al muro, appunto come un altare, dentro il quale trasmigravano ora il volto di un “mezzobusto”, semplice lettore di telegiornale, ora i personaggi di una commedia di Goldoni, la televisione pretendeva infatti compitezza e severità, gli stessi dettami della scuola dell’obbligo, ne era quasi un’emanazione ulteriore, fidenti funzionari in grisaglia, dalle grandi occhiaia penitenziali, uomini del “Biancofiore simbolo d’amore…” la presidiavano in modo non meno occhiuto.
Perfino lo stesso segnale orario aveva, mostrava, segnalava, imponeva allo sguardo qualcosa di assoluto, ed era, ripeto, un tempo ormai remoto e dai bordi fotografici frastagliati. La televisione sovente aveva l’obbligo di essere accostata a un mobile apposito, come oggetto prezioso, magico, come fosse una pietra nera, era appunto un altare che pronunciava la Verità: “…l’ha detto la televisione”. Amen.
Restando in tema religioso, si sappia che il suo primo responsabile, Filiberto Guala, in seguito avrebbe indossato il saio dei monaci trappisti… A un certo punto si ritenne opportuno che la televisione, la Rai, con quel suo stesso monoscopio che graficamente suggeriva perfino lo Spazialismo di Lucio Fontana, dovesse dotarsi di una santa protettrice: pochi lo sanno ma la richiesta pressante giunse dal cardinale Montini, il futuro Paolo VI, la ricerca venne affidata a un giovane programmista che in seguito sarebbe diventato famoso come regista, Ugo Gregoretti.
Questi scoprì che la prima ideale diretta era avvenuta quando il volto di San Francesco era apparso alla Porziuncola a Santa Chiara, così Chiara diverrà la patrona della televisione, e per converso della Rai.
Sempre a Santa Chiara è dedicata la chiesa dove Aldo Moro si raccoglieva in preghiera, così nel tempo non meno in bianco e nero di una televisione che dava conto dei congressi democristiani, socialdemocratici, delle fiere campionarie, delle inaugurazioni, il taglio dei nastri, dove le voci stentoree dei lettori, provvedevano a raccontarne i riti da “Gazzetta Ufficiale”; tutto ciò dimora ormai nel catasto visivo delle sue Teche.
Poiché la Televisione, la Rai, se solo proviamo a immaginarla nel tempo del suo inizio, ripeto, è soprattutto ricordi, monoscopio, la quinta di “Carosello”, bianco e nero, volti di rubriche dei suoi protagonisti storici. Chi ha memoria del professor Alessandro Cutolo, lì pronto a parlare sia di callifughi sia di Pier Paolo Pasolini e del suo romanzo Ragazzi di vita ritenuto scandaloso e per queste ragioni portato alla sbarra?
O ancora di padre Mariano con il suo “pace e bene a tutti”, bianco e nero crepitante nella memoria, e ancora del Musichiere di Mario Riva? Ettore Scola raccontava di essere stato autore di quel programma che aveva appunto nel compianto Riva il suo dominus: metti che dovesse venire da Hollywood Pedro Armendáriz, anche a lui, Scola, doveva cucire le risposte che avrebbe dato al presentatore…
E poi Corrado, che aveva già letto alla radio la notizia della fine della guerra, della nascita della Repubblica. Verrà poi Mike Bongiorno, molti lo ignorano, ma se Mario Riva non fosse morto tragicamente cadendo all’Arena di Verona, probabilmente la televisione la Rai avrebbe continuato a parlare in romanesco: “… Domenica è sempre domenica si sveglia la città con le campane, al primo din don del Gianicolo Sant’Angelo risponde din don da…”
Come dimenticare la settimana di Pasqua in cui la televisione si inchinava davanti alla passione di Cristo ed erano solamente i violoncelli della Quaresima ad accompagnare i telespettatori, così in ossequio al potere democristiano e come dimenticare ancora lo speciale postumo dedicato al principe de Curtis: “Tutto Totò”, che si apriva con “… non c’è più niente da fare, è stato bello sognare…”, cantata da Bobby Solo, lui che al Festival di Sanremo, altro punto luce fisso del palinsesto, si era esibito in playback… Ma anche “Arrivi e partenze”, “Campanile sera” e “Non è mai troppo tardi” con il maestro Alberto Manzi, cui si deve un’opera di alfabetizzazione, nazionale.
E neppure mio zio Franco posso dimenticare pensando alla Televisione e al suo compleanno, lui, sosia di Angelo Lombardi, “l’amico degli animali” lo ricordo come fosse ieri al ristorante “Il Transatlantico” di Napoli tutti ad applaudirlo, così nella convinzione che si trattasse davvero dell’originale, e mio zio alla fine costretto a dire di sì, che lui era davvero Angelo Lombardi, per non deluderli, e sono trascorsi settant’anni già.
Era il tempo in cui il mondo, l’Italia era unicamente in bianco e nero: il primo colore arriverà con le Olimpiadi di Monaco, le trasmissioni ancora sperimentali, il volto e mezzo baffo di Mark Spitz nell’azzurro della piscina.