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Meloni & Co., altro che destra liberale: una marea nera avanza tra gli applausi servili degli “intellettuali” italiani

Meloni & Co., altro che destra liberale: una marea nera avanza tra gli applausi servili degli “intellettuali” italiani

L’intervista di Simonetta Fiori a Giuliano Amato (su Repubblica del 2 gennaio) è un piccolo capolavoro. Si tratta di un testo che andrebbe incorniciato e fatto oggetto di un’approfondita meditazione politica e culturale.

Quando il presidente Napolitano nominò Amato giudice costituzionale, sul Fatto uscirono commenti ai limiti dell’indecenza che naturalmente non riuscirono a graffiare in alcun modo una figura di straordinaria dottrina e intelligenza politica.

La prima lezione che se ne trae è una ricostruzione storica sulle origini della crisi italiana. Amato rammenta anche una frase che gli disse il cardinale Ruini: “Sa, per combattere il comunismo, di acqua sporca ne abbiamo fatta passare tanta”. E la valutazione dell’ex presidente della Consulta è nitida: “Per tenere alte le barriere anti Pci, nelle menti più perverse fu concepito l’impensabile, perfino le stragi di Stato”.

Amato non ha dubbi sul fatto che quell’acqua torbida, a cui accennava il prelato, “abbia infragilito le fondamenta della nostra democrazia”. Le ha talmente erose nel profondo che la successiva azione giudiziaria, travolgendo la Prima Repubblica, ha lasciato solo “un terriccio da cui sono emerse figure di serie B, poi promosse in A, ma non è la politica di una liberaldemocrazia quella che ne esce fuori”.

La lunga crisi dei trent’anni vede al momento il trionfo di una destra nazional-populista così aggressiva da suscitare perplessità circa le capacità di resistenza della democrazia costituzionale.

L’opinione di Amato si colloca agli antipodi rispetto alle letture di commentatori come Paolo Mieli, i quali nel settembre del 2022 hanno certificato con enfasi il ritorno della politica dopo i tecnici e la comparsa di una destra di governo finalmente europeista, responsabile e affidabile.

La verità è che quella nero-verde è una miscela culturale temibile e pronta a deflagrare, che proprio nulla ha a che fare con il mondo del conservatorismo politico, persino con quello più spinto sul terreno liberista di una Thatcher o di un Reagan.

La fantasia degli editorialisti dei grandi fogli, che ipotizzano una comoda integrazione delle truppe di Giorgia Meloni nelle file della nuova governance europea, la dice lunga sulla fase critica della democrazia in Italia e anche sull’oscuramento di anticorpi vitali per la preservazione di uno spazio pubblico riflessivo.

L’interpretazione di Amato è invece lineare, e per certi aspetti anche coraggiosa: la destra radicale della “fuoriclasse” Meloni fa parte di un momento populista mondiale che scaturisce dal tramonto della destra liberista dei ricchi dominante negli anni 80. Quella di FdI è una formazione estremista, che “agitando la bandiera dei perdenti” coltiva a piene mani “l’ideologia dell’ostilità e del rancore”.

Dietro il successo di Meloni c’è dunque una significativa eco “dei nostalgici di un fascismo che non c’è più”, ma anche la sedimentazione della rabbia, tutta postmoderna, dei forgotten men e la “insofferenza per i nuovi diritti”.

La “trasgressione”, che Meloni intende azzannare con le leve del potere, è quella del percettore del reddito di cittadinanza senza “merito”, del migrante che riceve una casa popolare o fruisce di un pubblico servizio, del carcerato obeso che viene sottoposto a cure sanitarie, dell’omosessuale o della nuova genitorialità che turbano la “famiglia tradizionale”.

Costruendo questa classifica delle minoranze ostili, le quali, protette dalla interpretazione evolutiva della Corte capace di accogliere “i nuovi diritti”, minacciano la omogeneità del popolo, la destra acquisisce consenso. E cerca di utilizzarlo per infliggere un colpo definitivo allo Stato costituzionale di diritto.

Tutti gli organi di garanzia (secondo la vulgata della maggioranza di governo, il Quirinale ha accumulato troppe facoltà “materiali”, la Consulta scrive “volantini di propaganda” più che sentenze) vacillano dinanzi al fendente che la destra illiberale prepara con un chiaro spirito vendicativo. Lo scenario polacco o ungherese, per tacere di Trump, incombe.

Amato ricorda la decisione del governo polacco di impedire la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di una sentenza della Corte costituzionale. Senza una rivolta di piazza contro il governo sleale, il principio della separazione dei poteri viene spazzato via. È “la fine della democrazia. Ma quella fine ha sempre un inizio”.

Con la riforma del premierato assoluto all’italiana (“un marchingegno privo di coerenza”), la strategia “nazionalpopulista” di fuoriuscita dalla democrazia repubblicana è già avviata. La destra della fiamma, che conserva le “radici fasciste” e riscalda in continuazione la “ossessione del nemico”, si avvantaggia della latitanza di una opposizione che pronuncia qualche frase nei talk, e però, osserva Amato, non fa politica, non è in grado di “andare fra la gente, discutere, farsi valere” presentando “credibili disegni di una nuova società”.

Si dichiara “pessimista”, Giuliano Amato. In effetti, c’è poco da stare tranquilli quando a Palazzo Chigi risiede una patriota, madre e cristiana abituata da sempre a esprimersi in questi termini: “Sui rom, è molto semplice. Sei nomade? Devi nomadare, diciamo così. Ok? Quindi se sei nomade, non sei stanziale. Dopodiché, quando hai finito di nomadare, transumi e vai. Ok? E non rimani stanziale”.

Far “nomadare” Meloni, per non renderla “stanziale” a Palazzo Chigi, sarà un’impresa difficile, ma l’analisi di Amato indica la via di un “pessimismo” non della resa ma della mobilitazione.