Il vittimismo della destra
La Corte Costituzionale è di sinistra: l’ultima fake news di Meloni sulla Consulta
Nella Prima repubblica, il pentapartito si suddivideva i giudici di nomina parlamentare. Dalla Seconda in poi tre vanno alla maggioranza, due all’opposizione. È tutto nero su bianco, ma la premier vuole fare all in
Editoriali - di Salvatore Curreri
Nel corso della conferenza stampa la presidente Meloni ha rivendicato il diritto del centro-destra a eleggere i prossimi giudici della Corte costituzionale, lasciando intendere di voler così rimediare a quanto fatto dal centro sinistra, colpevole in passato di aver eletto tutti i giudici costituzionali in scadenza.
I fatti non stanno proprio così. Provo a spiegare. Dei quindici giudici di cui si compone la Corte costituzionale, cinque sono scelti in via esclusiva dal presidente della Repubblica, con atto formalmente e sostanzialmente presidenziale; cinque sono eletti dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative (tre dalla Corte di cassazione, uno dal Consiglio di Stato, uno dalla Corte dei conti); cinque sono eletti dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza dei 2/3 dei componenti nei primi 3 scrutini, dei 3/5 dal quarto.
Il problema sollevato riguarda proprio questi ultimi, dato che il Parlamento in seduta comune è chiamato ad eleggere quest’anno ben quattro giudici: uno al posto della giudice Sciarra (invero già scaduta lo scorso 11 novembre); gli altri tre in scadenza il prossimo 21 dicembre: l’attuale presidente Barbera e i giudici Modugno e Prosperetti.
Da qui, giustappunto, il timore che, profittando di tale congiuntura, la maggioranza di centrodestra, i cui gruppi parlamentari possono oggi complessivamente contare su 354 parlamentari, possa raggiungere la maggioranza dei tre quinti (360) prevista per l’elezione di giudici costituzionali dal quarto scrutinio.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla presidente Meloni ciò costituirebbe una grave rottura di una consolidatissima convenzione costituzionale che vuole i giudici costituzionali espressione di aree culturali diverse.
Già durante la cosiddetta Prima Repubblica (1956-1994) i giudici costituzionali erano proposti dai principali partiti: 2 dalla Democrazia Cristiana; 1 l’uno rispettivamente dal Partito comunista, dal Partito socialista e dai c.d. partiti laici (repubblicano, socialdemocratico o liberale).
Tale convenzione si è mantenuta anche nella cosiddetta Seconda Repubblica (dal 1994) stabilendosi che dei cinque giudici costituzionali tre fossero proposti dalla maggioranza e due dall’opposizione, tenendo conto ovviamente del fatto che, trattandosi della carica istituzionale di durata maggiore (nove anni), tali nozioni potessero cambiare nel tempo.
Se si scorre la cronistoria dei giudici che si sono avvicendati ci si può rendere conto di come questo patto sinora abbia retto. Il 18 giugno 1997, durante il governo Prodi I di centrosinistra, venne eletto all’undicesimo scrutinio il giudice Marini indicato dal centro destra, dopo ben 623 giorni dalla scadenza del giudice Caianello.
Il 24 aprile 2002, in pieno governo Berlusconi II, centrodestra e centrosinistra si accordano per eleggere i giudici Vaccarella e De Siervo da essi rispettivamente indicati. Lo stesso accade nel giugno 2005 quando furono eletti Mazzella e Silvestri, in sostituzione dei giudici Mezzanotte e Silvestri, sempre rispettivamente indicati dal centrodestra e dal centrosinistra.
Il 5 luglio 2006, durante il governo Prodi II, il centrosinistra non fece mancare i suoi voti per eleggere al primo scrutinio – e quindi con la maggioranza dei due terzi: caso più unico che raro! – il giudice Paolo Maria Napolitano, proposto dal centrodestra dopo la scadenza del giudice Marini.
E lo stesso accade il 21 ottobre 2008 quando si trattò di eleggere, sempre su indicazione del centrodestra, il giudice Frigo al posto del dimissionario Vaccarella. Probabilmente la presidente Meloni ha fatto riferimento a quanto accadde il 16 dicembre 2015 quando furono eletti i tre giudici costituzionali che, come detto, scadranno a dicembre di quest’anno.
Ma anche allora non ci fu un all in del centro sinistra. Per amor di verità andrebbe innanzi tutto ricordato che si arrivò a quell’occasione perché il Parlamento in seduta comune non era riuscito a trovare un’intesa sui tre giudici che avrebbe dovuto man mano sostituire: Mazzella (scaduto nel giugno 2014), Napolitano (scaduto nel luglio 2015) e Mattarella (che da giudice fu eletto presidente della Repubblica nel giugno 2015).
Si arrivò così all’elezione del 16 dicembre 2015 (dopo rispettivamente 31, 10 e 8 scrutini andati a vuoto!) perché evidentemente la possibilità di dover eleggere non uno ma tre giudici rendeva più facile l’accordo tra le forze politiche, in uno scenario peraltro non più bipolare ma tripolare in conseguenza del successo elettorale del M5S.
Pur con non poche difficoltà, l’intesa tra centrodestra, centrosinistra e pentastellati si raggiunse per cui furono eletti i giudici da loro rispettivamente proposti (Prosperetti, Barbera e Modugno).
Ho voluto appositamente riportare analiticamente questi precedenti, a costo – me ne rendo conto – di aver annoiato l’incauto lettore per dimostrare – dati alla mano – che non è vero che il centrosinistra abbia fatto sempre man bassa dei giudici costituzionali d’estrazione parlamentare. Tutt’altro!
I fatti dimostrano, al contrario, che anche nel ciclico alternarsi di maggioranze di governo, maggioranza ed opposizione hanno sempre rispettato le reciproche indicazioni quando rispondenti ai criteri di alta professionalità e moralità richiesti da una così elevata carica istituzionale.
La composizione della Corte è stata pensata dai costituenti proprio per evitare che nessuna delle tre componenti – Parlamento, presidente della Repubblica e Magistratura – possa prevalere sulle altre e condizionarne l’operato.
E quanto sia importante preservare l’autonomia e l’indipendenza delle Corti costituzionali ce l’ha ricordato pochi giorni fa la Corte suprema israeliana che, nel dichiarare illegittima la riforma che avrebbe impedito ai giudici di dichiarare illegittimi gli atti del governo quando irragionevoli, ha stabilito il principio fondamentale che anche le leggi costituzionali possono essere dichiarate incostituzionali quando violano i principi fondamentali dello Stato democratico, alterandone l’equilibrio tra i poteri.
Principio già sancito dalla nostra Corte con la sentenza n. 1146 del 1988. Pertanto, l’eventuale decisione della maggioranza di centrodestra di aspettare la fine del corrente anno per eleggere tutti e quattro i giudici costituzionali mancanti costituirebbe una gravissima violazione della convenzione costituzionale finora vigente, rispettosa degli equilibri e delle diverse sensibilità culturali e giuridiche di cui la Corte costituzionale finora ha tratto beneficio e su cui si è finora fondato il suo prestigio e la sua autorevolezza.