L'appello di Haaretz
Perché i soldati non si ribellano contro la macelleria di Gaza: la vendetta israeliana e l’appello di Gideon Levy
L’analisi drammatica e la domanda del giornalista israeliano: in altre occasioni, meno gravi, c’è stata l’insubordinazione. Perché stavolta no? E Haaretz chiede al governo di cacciare i ministri che incitano al genocidio
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Stavolta non ci sono stati “signor no”. La “guerra unanime” d’Israele è rimasta tale anche dopo lo sterminio di oltre 23mila palestinesi, 9mila dei quali bambini.
Benjamin Netanyahu, in quanto primo ministro, il più longevo nella storia dello Stato ebraico, porta su di sé le più grandi responsabilità della debacle senza precedenti subita da Israele il 7 ottobre, e di questo, prima o poi, dovrà risponderne, se non alla sua coscienza, ai membri della commissione d’inchiesta chiamata a indagare sulle responsabilità di quel “Sabato nero”.
Ma quello che è avvenuto dopo, e che continua ad accadere, ormai da tre mesi a questa parte e che sembra dover proseguire ancora per lungo tempo, quel desiderio di vendetta – vendetta non giustizia – , nei confronti dei palestinesi – in toto e non solo i terroristi di Hamas – quel desiderio è condiviso dalla stragrande maggioranza degli israeliani, e fa sì che la macelleria di Gaza non può essere ridotta alla “guerra di Netanyahu”.
A darne conto, con la consueta nettezza e coraggio di andare contro corrente, è Gideon Levy. Scrive Levy su Haaretz: “Nessuno si è alzato. Finora, per quanto si sa, nemmeno un caso di disobbedienza è stato registrato nell’esercito israeliano da quando è scoppiata la guerra, ad eccezione di un giovane prima del suo reclutamento.
I piloti bombardano come non hanno mai bombardato prima, gli operatori dei droni uccidono con il controllo remoto in quantità mai conosciute prima, gli artiglieri bombardano più che mai, distruggono come non hanno mai distrutto prima, e anche le guardie carcerarie abusano dei prigionieri come non hanno mai abusato prima. E nessuno si è alzato.
Tra le centinaia di migliaia di ufficiali di riserva e di carriera – lasciamo da parte i soldati regolari a causa della loro età, status e lavaggio del cervello – non c’è nemmeno ufficiale, pilota o artigliere, paracadutista o soldato della Golani che ha detto: “è troppo. Non sono disposto a continuare a prendere parte al massacro, non sono disposto ad essere tra quelli che infliggono una sofferenza disumana”.
Né una guardia carceraria si è alzata per dire la verità su ciò che sta accadendo nelle prigioni di massima sicurezza, lasciando le manette sul tavolo. A quanto si sente ripetere ogni ora di ogni giorno, in ogni dove, l’Idf dovrebbe essere soddisfatta di una guerra del tutto consensuale, senza rumori di fondo.
Ma la totale mancanza di disobbedienza dovrebbe sollevare pensieri terribili; indica l’obbedienza automatica piuttosto che la buona cittadinanza. Una guerra così brutale che non ha ancora sollevato dubbi tra i combattenti riflette la cecità morale. I piloti e gli operatori di droni sono una cosa, vedono le loro vittime come piccoli punti su uno schermo.
Ma i soldati e gli ufficiali di Gaza vedono cosa abbiamo fatto. Vedono più di un milione di persone private di tutto che si ammassano a Rafah.
Vedono i corpi per le strade, i resti della vita tra le rovine, le bambole dei bambini e i loro letti, gli stracci a brandelli e i mobili rotti. Tutti i soldati pensano che la colpa sia di Hamas, che tutta Gaza sia Hamas, che meritino tutto questo e che questo andrà a beneficio di Israele? L’assenza di insubordinazione è ancora più chiara in considerazione di ciò che è successo qui l’anno scorso prima del 7 ottobre.
La disobbedienza è diventata un’arma più legittima e comune che mai; migliaia di piloti e riservisti hanno minacciato di usarla. A luglio il movimento Brothers in Arms ha annunciato che circa 10.000 soldati di riserva di 40 unità non si sarebbero offerti volontari per il servizio di riserva se il colpo di stato del regime fosse passato.
Si sono uniti ai 180 piloti e navigatori che hanno dichiarato già a marzo che non avrebbero preso parte alle esercitazioni di addestramento, insieme a 300 medici militari e 650 soldati di riserva di operazioni speciali e cyber. Con così tante persone che minacciano la disobbedienza, la sua completa assenza ora è particolarmente fragorosa.
La conclusione è che molti dei soldati di carriera e di riserva sono convinti che il colpo di stato del regime sia stato una causa giusta e appropriata di insubordinazione, in contrasto con lo spargimento di sangue e la distruzione a Gaza. L’esercito sta distruggendo un’intera regione insieme ai suoi residenti, e questo non disturba le coscienze delle nostre forze.
La clausola di ragionevolezza ha infastidito alcuni di loro di più. Dove sono quei 10.000 soldati che hanno minacciato la disobbedienza a causa di Benjamin Netanyahu e Yariv Levin ora? Dove sono i 180 piloti? Sono impegnati a bombardare Gaza, a raderla al suolo, a distruggerla e uccidere i suoi abitanti indiscriminatamente, compresi migliaia di bambini.
Come è successo che il bombardamento della casa di Salah Shehadeh, che ha ucciso 14 residenti, 11 dei quali bambini, ha portato alla “lettera dei piloti”, in cui 27 piloti hanno dichiarato che si sarebbero rifiutati di servire in missioni di attacco – e ora, nemmeno una cartolina di un singolo pilota? Cosa è successo ai nostri piloti dal 2003 e cosa è successo ai soldati?
La risposta è desolatamente chiara. Israele dice che dopo l’orrore del 7 ottobre è permesso fare qualsiasi cosa, e tutto ciò che fa è degno, morale e legale. L’insubordinazione durante la guerra è anche un passo molto più drastico dell’insubordinazione nell’addestramento, e rasenta il tradimento. Potrebbe ferire i fratelli in combattimento.
Ma la totale assenza di disobbedienza dopo circa 90 giorni di guerra malvagia non è qualcosa di cui essere felici.. Forse tra qualche anno, alcune persone se ne pentiranno. Forse qualcuno se ne vergognerà”. Così Gideon Levy. Si dirà: ma lui è un “radicale”, coscienza iper critica, voce isolata. E allora leggete quello che segue: è un editoriale di Haaretz, rappresentativo della linea del giornale più venduto, assieme a Yediot Ahronot, in Israele.
Scrive Haaretz: “L’istanza presentata dal Sudafrica presso la Corte internazionale di giustizia all’Aia nei confronti d’Israele per genocidio, e la richiesta di procedere per questo crimine contro lo stato, è un campanello d’allarme per Israele. Il Sudafrica cita ampiamente le sofferenze inflitte ai civili nella Striscia di Gaza, tra cui la fame degli abitanti e la terribile situazione umanitaria.
Inoltre, il “genocidio” non è definito solo come gli atti che un certo stato compie, ma anche come l’intento di portare alla distruzione di una parte sostanziale di un certo gruppo.
Il fatto che Israele sia guidato dal governo più estremista della sua storia, i cui membri parlano di “spazzare via Gaza”, discutono apertamente sull’idea del trasferimento forzato della popolazione palestinese che vi risiede e incitano ad occupare la Striscia di Gaza e a costruire insediamenti in essa; il fatto che il dibattito pubblico all’interno di Israele “normalizzi” l’uccisione di 50.000 o 100.000 abitanti di Gaza, la fame a cui è costretta una popolazione e la trattenuta degli aiuti umanitari come strumento di pressione su Hamas, sono tutti fatti che possono aiutare la corte dell’Aia ad attribuire a Israele l’intenzione genocida.
Gli israeliani non si sentono. Dall’inizio della guerra, i parlamentari e i membri del gabinetto di guerra hanno ripetutamente fatto dichiarazioni che potrebbero essere viste come indicative di un’intenzione di compiere crimini contro l’umanità. Martedì il deputato Moshe Saada del Likud ha detto: “E’ chiaro a tutti oggi che la destra era nel giusto sulla questione palestinese, ora è semplice, vai ovunque e ti dicono di ‘distruggerli’”.
Mercoledì si è tenuto un dibattito alla Knesset che aveva come tema l’emigrazione palestinese dalla Striscia di Gaza e l’insediamento degli ebrei in quel territorio “bonificato”.
Il deputato Tzvi Succot, del partito del Sionismo religioso, ad esempio, ha detto: “Almeno la Striscia settentrionale dobbiamo prima di tutto conquistarla, annetterla, radere al suolo tutti gli edifici e costruire insediamenti”.
Quando il ministro delle finanze Bezael Smotrich proclama: “Se ci sono 100.000 o 200.000 arabi a Gaza e non 2 milioni, l’intera discussione sul “giorno dopo” sarà diversa”; quando il ministro Orit Strock si scaglia contro l’Idf per il presunto rifiuto dei piloti di bombardare i civili; quando il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir chiede “un progetto per incoraggiare l’emigrazione dei residenti da Gaza”; quando il ministro Amichai Eliyahu arriva a sostenere che “sganciare una bomba atomica su Gaza è un modo per chiudere la partita” – gli israeliani possono respingere queste cose come populismo a buon mercato, ma il mondo le prende sul serio.
La strategia di difesa di Israele sarà quella di dimostrare che sta facendo tutto il possibile per prevenire danni a civili innocenti, che spesso consente aiuti umanitari nella Striscia e agisce solo contro Hamas.
Ma il modo più efficace per allontanare da noi l’accusa di genocidio è quello di rimuovere dal governo coloro che incitano a crimini di guerra.
Questo è l’unico modo per convincere il mondo che le idee squilibrate che si stanno diffondendo non riflettono la realtà. Questo deve essere fatto con urgenza, prima che la posizione di Israele sia ricondotta a quella di un criminale di guerra”.
אל ימשב. Così in ebraico si scrive “not in my name”. Ma fin qui nessuno, o quasi, l’ha pronunciato.