Il sindaco di Prato

Intervista a Matteo Biffoni: “Il Pd non è un movimento ma un partito”

Matteo Biffoni: «Quando nel 1992 e dintorni abbiamo voluto in fretta e furia quasi cancellare il concetto di partito tradizionale, abbiamo gettato le basi di ciò che ha preso il via come forma di protesta, prima con i girotondi, poi con i V-day»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 11 Gennaio 2024

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Il sindaco di Prato Matteo Biffoni
Il sindaco di Prato Matteo Biffoni

La democrazia dell’audience e la crisi del sistema dei partiti e della democrazia. Un dibattito, molto partecipato, approfondito, plurale, aperto da l’Unità con l’intervista al professor Beppe Vacca. La parola a Matteo Biffoni, sindaco di Prato.

In una intervista a l’Unità, Beppe Vacca ha sostenuto che le ragioni della debolezza della sinistra vanno ricercate più sul piano storico-politico e culturale che nel radicamento sociale. Lei come la vede?
Penso che dobbiamo smettere di rimpiangere i bei tempi che furono, sui quali spesso abbiamo una visione edulcorata dovuta alle lenti del ricordo più che dell’analisi. Viviamo tempi complessi, sfide globali, nel giro di pochi anni la geopolitica si è trasformata con una velocità nettamente superiore a quello che accadeva decenni fa. È tutto più veloce e la sinistra di oggi deve adeguarsi a nuovi paradigmi, senza cedere nei propri valori che non sono negoziabili, consapevoli però che non si può cadere nel dogmatismo e che quei valori non vanno svenduti, ma in certi casi ammodernati, per così dire. Sicuramente il contesto storico-politico e, aggiungerei, economico, rendono più facile alimentare paure e conservatorismo, ma è necessario ritrovare un radicamento sociale nelle nostre comunità, ravvivare quella partecipazione e quell’interesse per la cosa pubblica, per la politica, rivendicare l’orgoglio per una parola che da Tangentopoli in poi è stata derubricata a un’accezione negativa. Io sono orgoglioso di essere un sindaco con una tradizione e una cultura politica alle spalle, perché l’impegno civico è importantissimo ma quello politico lo è ancora di più, è una forma di impegno concreto nel nome di principi e ideali ben chiari. Riportare al centro la politica non è cosa facile. Se penso al mio partito, al PD, i dati parlano chiaro: il crollo degli iscritti è stato vertiginoso, i risultati elettorali in tutta Europa parlano chiaro. Negli ultimi 18 anni siamo passati da oltre 830mila iscritti a 150mila. Ma la riflessione deve necessariamente essere più ampia, perché questi dati si contestualizzano in un Paese dove i cattolici praticanti negli stessi 18 anni sono crollati del 25 per cento, per dire. E le esperienze che sembrano più coinvolgenti, più vincenti, durano un soffio di vento, capaci di attirare numeri ed entusiasmo giusto per pochi mesi anche quando partono da temi di grandissimo interesse: le sardine, i Fridays for future, giusto per fare un paio di esempi.

E allora?
E allora proprio il PD può partire dalla solidità della propria tradizione per rendere consapevolezza ai cittadini, soprattutto quelli più giovani, figli della mia generazione cresciuta a pane e mani pulite, che la politica è una cosa bella e la partecipazione è la forma più alta di libertà.

Afferma Vacca che il primo punto di fragilità della sinistra sta nel paradigma stesso che fu alla base della nascita del Pds, prim’ancora che del Pd: quello della disintermediazione, vale a dire il passaggio, cito testualmente “dall’idea di una democrazia dei partiti all’idea di una democrazia dei cittadini.”
Se in Italia esiste un grande partito quello è e resta il Partito Democratico con tutti i limiti e difetti. Il PDS è nato nel 1991. Dopo sette anni diventa DS. Dopo 9 anni nasce il PD. Il Partito democratico quest’anno compie 17 anni, praticamente il più grande partito della sinistra che nasce da tradizioni diverse, che è arricchito da una grande sfaccettatura di sensibilità, che raccoglie e porta avanti storie e tradizioni importanti sta dimostrando forza e longevità. Secondo me dobbiamo esserne orgogliosi. Il PD è una realtà in cui si discute, ci si confronta, si partecipa. Ed è la forma più vera di democrazia, la partecipazione negli organismi di partito, nei circoli, nelle attività che vedono sì il coinvolgimento di tutti ma allo stesso tempo la valorizzazione di quella capacità di rappresentanza che nei partiti veri, come il PD, esiste. Esiste in carne ed ossa, guardandosi negli occhi. E credo che questo sia un valore importante, da sottolineare, da ribadire in ogni contesto: si deve rivendicare con orgoglio l’essere un partito e non un movimento, di avere sezioni, congressi, direzioni, segreterie. E questo vale per i partiti politici, ma non solo. Vale per le categorie economiche, per i sindacati, per le associazioni. E allora bene le primarie, elemento costitutivo del PD, ma che non siano un modo per non far decidere i propri dirigenti. Vanno utilizzate, vanno utilizzate bene.

Così la professoressa Nadia Urbinati su l’Unità:I partiti, Vacca ha ragione, hanno fatto la democrazia, per poi essere sottoposti, anche per gli errori commessi e i limiti di rinnovamento delle classi dirigenti, al pubblico ludibrio. Ma la democrazia del pubblico sta dimostrando il peggio di sé: essa genera plebiscito quotidiano, rende il populismo una forma funzionale di rappresentanza e apre la strada a forme autoritarie. L’Italia è un libro di testo”.
Quando nel 1992 e dintorni abbiamo voluto in fretta e furia quasi cancellare il concetto di partito tradizionale, come se compromessi e accordi politici fossero un male anziché un antidoto al personalismo e al populismo, abbiamo gettato le basi in modo del tutto inconsapevole a quello che dieci anni dopo ha preso il via come forma di protesta prima con i girotondi, poi con i V-day, poi con i movimenti di cui i grillini sono l’esempio più riuscito. Il tutto portando a una deresponsabilizzazione spesso delle classi dirigenti che troppo spesso prestano più attenzione al tema del momento anziché alle politiche necessarie per il futuro di una città o di un Paese. Mi rendo conto che è difficile, scomodo e molto poco affascinante parlare di tasse, di impianti per lo smaltimento dei rifiuti o di gestione dei migranti. È per tutti molto più semplice e poetico discutere di salario minimo, di economia circolare e inclusione. Ma non c’è giustizia sociale senza tasse e servizi (che si pagano con le tasse), non c’è città verde ed economia circolare senza una programmazione impiantistica adeguata, non c’è inclusione fin quando non ci decidiamo a stabilire norme chiare su come si entra e si resta in questo Paese, ma soprattutto su come si diventa cittadini quando qui ci si nasce e ci si cresce. È quindi l’ora di riprendere coraggio, assumersi la responsabilità di scelte anche impopolari nell’immediato, avere sempre attenzione ovviamente per i temi del momento, per le sensibilità espresse dalle nostre comunità, ma senza dimenticare che un partito politico serio, che ha l’ambizione di governare, deve superare l’ansia da campagna elettorale e soprattutto da sondaggio e porre le basi per politiche che veramente possono cambiare in meglio il futuro. Scontato citare De Gasperi, eppure è così.

La “democrazia dell’audience”, così l’ha definita Nadia Urbinati, non ha fatto scuola anche nel PD?
Sicuramente ha influenzato anche il PD, non siamo immuni dai sondaggi e dai social. Ma come ho appena detto se vogliamo tornare a certe dinamiche partitiche sane, costruttive, efficaci si deve superare quest’ansia da prestazione ed essere consapevoli che con impegno e responsabilità possiamo riappropriarci di quel ruolo di guida di una parte politica che si ritrova in una visione democratica, riformista, europeista e soprattutto aperta verso il riconoscimento dei diritti. Non diamo certi principi per scontati: Acca Larentia ne è un esempio, nella mia città mi ritrovo ancora nel 2024 il leader di Forza Nuova che insiste per organizzare manifestazioni il 23 marzo, nonostante Prato abbia già risposto adeguatamente a certe provocazioni. Questo per dire che il fascismo non tornerà, l’Italia ha gli anticorpi, ma c’è latente e va affrontato, l’antifascismo non è retorica se non resta negli slogan e nei dibattiti da salotto ma si declina nella politica e nelle azioni quotidiane.

A proposito di rinnovamento della forma partito. L’area che fa riferimento a Stefano Bonaccini, “Energia popolare”, si è data una sua organizzazione, individuato responsabilità nazionali e locali. Lei, ad esempio, è il coordinatore degli amministratori locali. Cos’è, un partito nel partito?
Assolutamente no e lo abbiamo sempre ribadito e dimostrato. La segretaria non è in discussione, ma è evidente dai risultati del Congresso che nel Partito Democratico ci sono sensibilità diverse e non sempre la segreteria ha avuto la sensibilità di ascoltarle tutte, questo dobbiamo dircelo schiettamente. Io credo che nei partiti ci si stia con lealtà, che passa anche attraverso la chiarezza delle posizioni senza sotterfugi e sempre con l’idea di costruire. Avere un coordinamento che tiri le fila di un’area è semplicemente un metodo operativo, perché siamo persone molto pratiche, che non sbattono la porta e se ne vanno di casa appena qualcosa non torna ma in casa ci restano, portando il proprio contributo di idee e proposte. È quella sana pluralità che un Partito grande come il PD deve avere e coltivare. Gli amministratori locali, in particolare, possono dare molto al partito perché restano le figure di riferimento delle nostre comunità, le persone a cui i cittadini si rivolgono quando hanno un problema, un’esigenza, una proposta. Se vogliamo essere connessi al Paese reale, ai problemi quotidiani delle famiglie, dei lavoratori, dei giovani, degli anziani soli, degli artigiani, ecco ascoltare gli amministratori locali mi pare un buon primo passo: non un partito dei sindaci come talvolta raccontato ma un partito che ascolta i sindaci e, se mi concedete una battuta, ascoltate i sindaci e nessuno si farà male.

11 Gennaio 2024

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