Il caso Acca Larenzia
La Costituzione non proibisce il pensiero fascista
La nostra Carta è certamente antifascista, ma non mette fuori legge il pensiero fascista come qualunque altra idea contraria ai valori costituzionali
Editoriali - di Salvatore Curreri
Sul cosiddetto saluto romano ha ragione il presidente del Senato La Russa quando auspica un chiarimento interpretativo sul punto da parte delle sezioni unite della Cassazione nella prossima udienza del 18 gennaio.
È vero: la legge n. 645 del 1952 (c.d. legge Scelba), attuativa della XII disposizione finale della Costituzione che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, vieta la partecipazione a pubbliche riunioni compiendo “manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste” (art. 5).
Per consolidata giurisprudenza, deve però trattarsi di manifestazioni ripetute e diffuse tra i militanti che, in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute, sono idonee a provocare adesioni e consensi tali da creare il concreto pericolo “di ricostituzione di organizzazioni fasciste, (…) attentando concretamente alla tenuta dell’ordine democratico e dei valori ad esso sottesi” (Cass., V pen. 36162/2019; v. anche I pen. 10569/2021).
Pertanto, il saluto romano è tutelato dalla libertà d’espressione garantita dall’art. 21 della nostra Costituzione e non è dunque punibile, al pari di “qualunque parola o gesto, anche il più innocuo, che ricordi comunque il regime fascista” (così la Corte costituzionale, sentenza n. 74/1958; v. anche 15/1973) se ha un intento meramente commemorativo (Cass., I pen. 11038/2016, 8108/2018).
E difatti finora le celebrazioni annuali ad Acca Larenzia non sono state mai oggetto d’azione penale. Piuttosto il saluto romano – al pari di altri comportamenti, quali ad esempio l’indossare una camicia nera, intonare un inno, lanciare un grido – è punibile se finalizzato in modo idoneo, effettivo ed efficace, alla riorganizzazione del disciolto partito fascista.
È stato il caso della partecipazione ad una trasmissione televisiva di grande ascolto (Trib. Milano, VIII pen. 24.6.2020) o del tifoso che durante una partita di calcio indossava una maglietta con simboli e scritte inneggianti al partito fascista (Cass., VI pen. 39860/2013) o faceva il saluto fascista (Cass., VI pen. 20450/2016).
Finora quindi il saluto romano è stato perseguito come reato di pericolo concreto quando idoneo e funzionale alla ricostituzione del partito fascista.
A questo orientamento interpretativo se ne contrappone però un altro secondo cui il saluto romano sarebbe reato di pericolo astratto, e quindi andrebbe sempre perseguito, ma non ai fini della ricostituzione del partito fascista ma perché proprio di associazioni che hanno come fine la diffusione d’idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, etnico o religioso, punite dalla legge n. 205/1993 (c.d. Mancino) (v. Cass., I pen. 21409/2019).
È proprio su tale dissidio interpretativo che le sezioni unite della Cassazione dovranno pronunciarsi, valutando se il saluto romano sia un reato di pericolo concreto o astratto e se le due fattispecie delittuose – quella della legge Scelba e quella della legge Mancino – sono alternative o complementari.
Sottigliezze giuridiche che sottovalutano la natura politica del problema? Forse. Però, contrariamente a quel che taluni ritengono, la nostra è una Costituzione certamente antifascista ma che non per questo mette fuori legge il pensiero fascista, come qualunque idea contraria ai valori costituzionali, fin quando si mantiene nel campo della libertà d’espressione senza tradursi in incitamento alla violenza (ed è su questo versante che si dovrebbe intervenire, a cominciare dallo scioglimento di Forza Nuova).
E la storia costituzionale del nostro paese, capace di assorbire nella dialettica democratica forze politiche dapprima antisistema (dai monarchici ai missini), racconta di una scommessa alla lunga vinta. E ora lapidatemi pure.