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Mesi di insulti e antisemitismo: questo ha aiutato la Palestina?

Mesi di insulti e antisemitismo: questo ha aiutato la Palestina?

Uso le parole di Gideon Levy, un grande giornalista israeliano che trascura il peso di essere celebre non solo presso i tanti ragionevoli che ne apprezzano il lavoro, ma anche presso chi vuole la distruzione di Israele e l’uccisione degli ebrei in tutto il mondo, uso le sue parole per fare il discorso che non si fa mai, tra tutti i discorsi che sempre si fanno ormai da settimane.

Ha detto l’altro giorno Levy, riferendosi al pogrom del 7 ottobre, che i palestinesi “vivono da decenni sotto quegli attacchi” (“…Palestinians who live under those attacks for decades”).

Dunque da decadi – questo è il ragionamento, questa è l’analisi, questa è la rappresentazione – gli israeliani entrano nelle case dei palestinesi, prelevano uomini donne e bambini, ne uccidono, bruciano, sgozzano, stuprano milleduecento in due ore, poi prendono i corpi e li trascinano per le strade di Gerusalemme e Tel Aviv, ricoperti di sputi ed escrementi, mutilati, con la folla che festeggia partecipando al vilipendio dei cadaveri. Succede questo? Succede questo “da decenni”?

Sulla scorta di queste domande viene l’obiezione ovvia: e Gaza? Di Gaza ciascuno può dire quel che gli pare. Che è il luogo in cui si compie un’operazione militare purtroppo necessaria, che è il luogo in cui si compie un’operazione militare sconsiderata, che è il luogo in cui si compiono crimini di guerra, che è il luogo in cui si compiono stragi deliberate di innocenti.

La cosa certa è che ne è venuta, e continua ad avere corso, una carneficina. Bene, e che cosa è stato fatto, dal 7 ottobre dell’anno scorso ai giorni immediatamente successivi, per evitare la carneficina a Gaza? E che cosa è stato fatto, poi, dallo scorso autunno ad oggi, per fermarla? È stato detto che Israele è nazista. È stato detto che la stella di David è la nuova svastica.

È stato detto che inneggiare al genocidio degli ebrei non è illecito ma dipende, “it depends on the context”. È stato detto che il 7 ottobre “non viene dal nulla” (che è esattamente la tesi di Gideon Levy, ma messa in doppiopetto e cravatta di marca Onu).

È stato detto che gli Stati Uniti e l’Europa legittimano il genocidio dei palestinesi perché sono “soggiogati dalla lobby ebraica”. È stato detto che a questo punto Israele cessa di avere il diritto di esistere, “semmai lo ha avuto”. Eccetera.

Queste cose non sono state dette in un corteo di scappati di casa, ma scritte su giornali e ripetute in conferenze stampa istituzionali, da parte di partiti politici, rettori universitari, rappresentanti delle Nazioni Unite.

Non domando nemmeno quanto tutto questo sia tollerabile (tutto questo è molto tollerato, molto applaudito). Domando: quanto ha aiutato tutto questo a prevenire il disastro di Gaza? Quanto aiuta tutto questo a fermare le stragi?

Dopo di che c’è quel che NON è stato detto. Innanzitutto non è stato detto nulla a fronte degli spropositi che ho appena ricordato. Poi nulla, salve le braccia allargate davanti a fatti inevitabili o comprensibili senz’altro, quando nelle città europee che furono della Shoah prendevano a ricomparire le stelle disegnate sulle case e sui negozi degli ebrei e ad essere devastate le sinagoghe e i cimiteri ebraici.

Nulla, e anzi una buona dose di diffuso consenso, quando la solita signora delle Nazioni Unite, mezza avvocatessa e negazionista piena, dice che in buona sostanza Gaza è come Auschwitz, perché “il livello di inumanità è lo stesso” e perché “gli ebrei”(gli ebrei!) stanno facendo agli altri la stessa cosa.

Nulla, salva una cronaca fredda e noncurante, quando, a pochi giorni e a pochi passi dalle celebrazioni del rastrellamento nel Ghetto romano, una ragazza arringava una folla di filo-sgozzatori al grido “Fuori i sionisti da Roma”.

Nulla, salva qualche curricolare pensosità democratica, quando le comunità ebraiche dei Paesi in cui gli ebrei furono rastrellati si inducevano, ottant’anni dopo, a consigliare agli ebrei di non farsi riconoscere, di non girare con la kippah, di non mettere in mostra simboli ebraici, di non fare assembramenti davanti a luoghi “pericolosi”, i luoghi di culto e le scuole ebraiche, di non aprire la porta a sconosciuti: di nascondersi, insomma.

Qui, oggi, in Europa; qui, oggi, in Italia, dove gli ebrei erano cacciati, espulsi dalle scuole e dagli uffici e caricati sui vagoni piombati diretti ai campi di sterminio.

Senza che una manifestazione, un corteo, un sit in, nulla, a parte una cosa di un piccolo giornale (Il Foglio) e un’altra organizzata dalle stesse vittime di questa situazione, cioè le comunità ebraiche, nulla che abbia saputo dare un segno di ripudio di un antisemitismo che rimonta e che non è disparato ed episodico, ma dilagante, aggressivo e, soprattutto, tronfio in impunità.

E ancora non domando quanto tutto questo “non detto” sia tollerabile, quanto sia accettabile la vergogna di questa plateale latitanza civile davanti al risorgere odioso del pregiudizio e della violenza antisemita.

Domando invece: quanto ha aiutato, quanto aiuta a tenere pulito, razionale, efficace il giudizio sulla tragedia in corso? Come si crede che reagiscano quelli vorrebbero vedere destituito, e magari anche in galera, Bibi Netanyahu, se si dice loro che sono cittadini di un sistema nazista?

Come si crede che reagiscano se si spiega che il loro Paese magari non ha proprio del tutto meritato, ma senz’altro ha causato, facendo decenni di violenze comparabili, il massacro del 7 ottobre?

Reagiscono, se va bene, provando per quel che succede a Gaza tutto l’orrore che mezzo mondo non ha provato, o in fretta ha dimenticato, per quel che è successo il 7 ottobre.

Reagiscono, se va male, e avendo ragione, pensando che per mezzo mondo gli israeliani non dovevano entrare a Gaza non perché avrebbero fatto queste stragi, ma perché avrebbero dovuto sopportare senza far nulla la strage del 7 ottobre, e aspettare la prossima.

Salvo fare ciò che finalmente dovrebbero fare: sparire, dal fiume al mare. Li abbiamo aiutati a reagire e a pensare diversamente, in questi mesi?