Il disastro delle prigioni
Guardate le nostre carceri e poi chiamatela democrazia: il perché del mio sciopero della fame
Oltre 60.166 detenuti sono costretti a vivere in 47.540 posti. Mancano 18mila agenti, e poi direttori, educatori, assistenti sociali, magistrati di sorveglianza. Siamo convinti che uno Stato che voglia definirsi “democratico” e “di diritto” non possa permettersi questa catastrofe
Editoriali - di Rita Bernardini
“Manco ad un caffè rinuncereste!”, così Marco Pannella si rivolgeva a molti intellettuali italiani che si pavoneggiavano proclamando la massima “non sono d’accordo con le tue idee, ma sono pronto a dare la vita affinché tu possa esprimerle”.
Il leader radicale, che di scioperi della fame (e della sete) ne ha fatti a centinaia per affermare il diritto alla conoscenza e all’informazione dei cittadini italiani, amava ripetere che sì, rischiava la vita, ma contro la certezza della morte del diritto e dei diritti.
Quando sceglieva gli interlocutori delle sue iniziative nonviolente (Presidente del Consiglio, Presidente della Repubblica, ministri o, comunque, rappresentanti istituzionali) non era per mortificarli o ricattarli: al contrario, intendeva aprire un dialogo affinché emergesse la loro parte migliore e ciò di cui erano profondamente e intimamente convinti.
Il Grande Satyagraha deciso a dicembre scorso dal X congresso di Nessuno Tocchi Caino, intende affrontare la drammatica condizione delle nostre carceri con il metodo della nonviolenza affinché il “potere” prenda le decisioni adeguate ad una situazione che va via via aggravandosi come dimostra la realtà dei dati ripetutamente richiamati da associazioni come la nostra, dal Garante nazionale e dai garanti locali, da accademici del diritto penale, dagli avvocati dell’UCPI e del Movimento Forense, dai volontari che quotidianamente fanno il loro ingresso in carcere.
Con il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti inizierò lo sciopero della fame dalla mezzanotte del 22 gennaio prossimo: è bastato annunciarlo perché altri cittadini decidessero di unirsi nel cammino di questa iniziativa nonviolenta.
Siamo convinti che uno Stato che voglia definirsi “democratico” e “di diritto” non possa permettersi la catastrofica situazione attuale che possiamo rappresentare così: oltre 60.166 detenuti sono costretti a vivere in 47.540 posti con un sovraffollamento medio del 127%.
In particolare, 103 istituti penitenziari su 189 hanno un sovraffollamento del 150%, il che vuol dire che lo Stato italiano in 100 posti disponibili accalca 150 esseri umani.
La quotidianità penitenziaria è stravolta anche perché gli agenti di polizia penitenziaria che fanno i turni negli istituti sono 18.000 in meno e per questo chi rimane è costretto a fare turni massacranti “obbligatori” e ricordiamo che con pochi agenti non si possono organizzare le attività per i detenuti come corsi professionali, scuole, lavorazioni serie; persino andare all’area verde per fare il colloquio con i figli minori diventa impossibile se non c’è il personale.
Mancano i direttori e gli educatori: con gli ultimi “rinforzi” si coprono a malapena i pensionamenti. Che rieducazione o risocializzazione si può fare senza gli educatori? Se un educatore è costretto a seguire in moltissimi casi più di cento detenuti “in un percorso individualizzato di trattamento” (così recita l’ordinamento penitenziario), come può farlo realmente?
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni deve sapere che, in tutto, gli educatori previsti in pianta organica sono solo 923, che quelli effettivamente assegnati sono 803 e che questi 803 hanno giustamente i diritti di tutti gli altri lavoratori (ferie, malattia, gravidanza, legge 104, etc. etc.).
Altra realtà da considerare è quella degli assistenti sociali che oramai rarissimamente entrano in carcere perché, anche loro, sono troppo pochi e hanno sulle loro spalle tutto il carico di lavoro degli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna (misure alternative).
E i magistrati di Sorveglianza? La pianta organica ne prevede in tutta Italia 246 ai quali si aggiungono 29 presidenti di tribunale: nella realtà i magistrati degli uffici di sorveglianza sono 210 e i presidenti sono 25. Cosa dovrebbero fare questi 235 magistrati?
Seguire uno per uno nel loro percorso di reinserimento i detenuti definitivi (74%) rispondendo a tutte le loro istanze, entrare frequentemente negli istituti per verificare le condizioni di detenzione e rispondere alle richieste proposte al momento, decidere la sorte (carcere o misura alternativa) di oltre 100.000 liberi-sospesi.
Riescono ad adempiere a tutti questi compiti? Evidentemente, NO! Soprattutto se consideriamo che a tutto questo va aggiunta la carenza (30% circa) di personale amministrativo (cancellieri, contabili, impiegati, autisti, commessi).
Questo quadro tanto disarmante e fallimentare quanto costoso (solo i 189 istituti penitenziari costano 3 miliardi e 328 milioni all’anno), non è ancora completo perché occorre aggiungere la dolente nota della sanità penitenziaria da tempo gestita dal SSN e carente sotto ogni punto di vista, non in grado di fornire l’assistenza medica indispensabile ad una popolazione di per sé “fragile” come quella, per fare due esempi, riguardante i tantissimi casi psichiatrici o i dipendenti problematici da sostanze stupefacenti, persone che in carcere non dovrebbero proprio starci e che in carcere possono solo peggiorare la loro situazione.
Dal 23 gennaio inizieremo il Satyagraha perché siamo convinti della veridicità del quadro sopra rappresentato, un quadro che, a pensarci bene, impone un provvedimento di clemenza non tanto per i detenuti ma per lo Stato che è fuori dai parametri costituzionali nei quali deve obbligatoriamente e immediatamente rientrare.
Noi abbiamo le nostre proposte come quelle del rafforzamento della liberazione anticipata e siamo aperti a qualsiasi altra proposta che porti alla diminuzione della popolazione carceraria e quindi al miglioramento delle condizioni di detenzione.
Non si tratta solo di scongiurare il protrarsi di trattamenti inumani e degradanti (non dimentichiamoci la condanna del nostro Paese da parte della Corte EDU nel 2013), si tratta altresì di concepire il “nuovo possibile” di fronte ad una realtà, quella del carcere, che è criminogena e che sempre di più diviene una fabbrica di recidiva come dimostrano tutte le statistiche.
152 suicidi in 24 mesi impongono a tutti una riflessione e un’azione. Ci rivolgiamo con la forza dialogante della nonviolenza al Governo, a Giorgia Meloni, al Ministro della giustizia Carlo Nordio.
Facciamo quello che sentiamo di dovere affinché possa accadere il meglio per la democrazia del nostro Paese. Facciamo nostre le parole che il Presidente Mattarella pronunciò due anni fa al momento del suo insediamento: “dignità è un Paese dove le carceri non siamo sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti; questa è anche la miglior garanzia di sicurezza”.