Il leader della Lega

Sardegna in gioco, la mina vagante Salvini ‘baratta’ il terzo mandato con la Meloni

Alla resa sarda del leghista dovrebbe corrispondere quella di Meloni sul terzo mandato per i governatori. Si dice terzo mandato, si legge Veneto. La modifi ca serve a spianare la strada alla permanenza di Zaia

Politica - di David Romoli - 13 Gennaio 2024

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Sardegna in gioco, la mina vagante Salvini ‘baratta’ il terzo mandato con la Meloni

La sola cosa certa è che il candidato della destra in Sardegna sarà Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari, e tanto basta a siglare comunque una sconfitta secca della Lega.

Truzzu si avvia a inaugurare oggi stesso, a Quartu Sant’Elena la sua campagna elettorale. Le possibilità di un ripensamento in extremis di FdI sono pari a zero.

Il ritiro del presidente uscente Christian Solinas, sostenuto a spada tratta ma con sempre meno speranze dalla Lega e dal suo Partito sardo d’azione, dovrebbe essere altrettanto certo ma ancora ieri sera Solinas non aveva formalizzato la resa e il segretario del Psd’a Moro parlava di “stallo”.

Ma tentare la sorte spaccando la destra è per Solinas molto più difficile che per Renato Soru dall’altra parte della barricata. A destra, a differenza che per quanto riguarda la sfida di Soru, sarebbe spaccatura tra i partiti alleati, dunque molto più grave e foriera di conseguenze.

Solinas, poi, conta su sondaggi poco consolanti: la sua candidatura rischierebbe di rivelarsi un disturbo che non disturba e certifica anzi un rapporto di forze schiacciante a favore della leader tricolore.

Salvini lo sa, è consapevole della situazione da almeno due giorni e tra le righe, nonostante le apparenze ruggenti, sta preparando la ritirata appunto da due giorni, da quando cioè l’uscita pubblica del ministro Lollobrigida ha bruciato gli ultimi ponti alle spalle di FdI.

Ieri, nella lunga “dichiarazione spontanea” nel processo Open Arms a suo carico il capo della Lega ha trovato modo di lanciare una frecciata velenosissima contro la premier e contro il ministro Piantedosi, quando ha ricordato orgogliosamente che durante il suo mandato al Viminale non ci sarebbero state vittime tra i migranti, a differenza di quanto successo in seguito.

(Non è nemmeno vero, naufraghi di piccoli barchini spariscono tra le acque senza che se ne abbia notizia e nelle celle libiche in cui lasciamo che siano deportati i migranti catturati dai libici di vittime ce ne sono parecchie).

E’ comunque da parte sua una mazzata feroce e denota quanto elevato sia il livello del rancore del capo leghista. In sé, però, la polemica affermazione non pregiudica affatto la possibilità della retromarcia in Sardegna.

La partita, tuttavia, non sembra essersi chiusa, nonostante giovedì sera i termini del solo accordo possibile erano già chiari e da Chigi filtravano voci sulla disponibilità di entrambi i leader, Salvini e Meloni, a concludere un accordo che comporta per tutti e due dolorose rinunce.

Alla resa del leghista sulla Sardegna dovrebbe corrispondere quella della premier sul terzo mandato per i governatori, non a caso proposta depositata dalla Lega proprio giovedì. Si dice terzo mandato, si legge Veneto.

La modifica della norma sull’eleggibilità dei governatori serve a spianare la strada alla permanenza di Zaia e Salvini chiede anche che i tempi siano celeri: la sua proposta di legge dovrebbe diventare un dl ad hoc o più probabilmente un emendamento al decreto sull’election day, che già dovrebbe portare a tre il limite dei mandati per i sindaci dei comuni oltre 15mila abitanti.

In caso di rinvio a dopo le europee, infatti, il vicepremier teme che Meloni, forte di un probabile risultato trionfale, rimetta tutto in discussione.

Del pacchetto dovrebbe infine far parte anche la rinuncia di Meloni a candidarsi alle europee, ipotesi che tanto Salvini quanto Tajani vedono come il fumo negli occhi perché sanno che la premier andrebbe probabilmente vicina a quel successo plebiscitario di cui è in cerca, a tutto loro scapito.

Giovedì sera l’accordo sembrava fatto, partorito in quel vertice a tre di palazzo Chigi sul quale i leader della maggioranza hanno mantenuto un plumbeo silenzio e nella politica italiana non capita spesso. Ieri però la situazione sembrava essere tornata alla paralisi, o allo “stallo” indicato da Moro.

Alla fine Solinas, dopo una telefonata di Salvini, ha fatto il passo indietro che era ormai senza alternative. Ma dal canto suo la premier esita a compiere un passo che le costa moltissimo: la rinuncia ad accaparrarsi l’anno prossimo il Veneto.

A uscire allo scoperto in realtà è solo Tajani:Il terzo mandato non mi piace granché, né per i governatori né per i sindaci. Ma deciderà il Parlamento”. Formula che, se da un lato esclude veti azzurri, dall’altro boccia implicitamente la via del decreto invocata da Salvini. Ma anche se non si esprime apertamente a resistere è prima di tutti Giorgia.

Per carattere Meloni, in questo opposta a Berlusconi, è poco generosa con gli alleati e detesta rinunciare ai propri obiettivi, sia pure in nome di una palese opportunità.

Sin qui si è sempre schierata contro il terzo mandato dei governatori e piantare la bandierina tricolore sulla roccaforte veneta è il principale traguardo che si prefigge per le Regionali del 2025.

Evitare la candidatura le sarà più facile, ma solo a patto che Elly Schlein ceda alle spinte del suo partito, al quale si è aggiunto l’altro ieri il padre nobile Romano Prodi, e rinunci anche lei.

Alla fine, anche senza garanzie sulla contropartita, Salvini e Solinas sono stati costretti ad arrendersi perché la disparità di forze era troppo schiacciante non solo a livello nazionale ma anche in Sardegna, e dove, con Soru deciso a candidarsi nonostante i sempre più accorati appelli della candidata M5S-Pd Todde, Solinas non sarebbe forse riuscito neppure a recare un danno esiziale a Truzzu.

Ma se Salvini dovesse rassegnarsi a una resa umiliante senza compensazioni potrebbe diventare presto una mina vagante. Con un accordo onorevole sul terzo mandato e sul Veneto la maggioranza uscirebbe rafforzata.

Per questo i consiglieri di Giorgia continuano a suggerirle di non lasciare Salvini “senza più nulla da perdere”. Ma il carattere di Giorgia Meloni è quello che è.

13 Gennaio 2024

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