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Pena di morte in Giappone: dove il boia ti ammazza “a sorpresa”

Pena di morte in Giappone: dove il boia ti ammazza “a sorpresa”

Una buona notizia è giunta alla fine dell’anno appena trascorso dalla terra del Sol Levante. Per la prima volta dal 2020, non si è verificato nessun damashi-uchi, un “attacco a sorpresa”, come gli esperti definiscono il modo di fare giustizia in Giappone.

Nella nazione dove nasce il sole e tutto luccica, dai palazzi imperiali ai mille templi e santuari dorati, dai grattacieli infiniti nelle grandi città ai parchi nazionali sulle montagne, c’è solo un luogo dove tutto è coperto da una coltre spessa di incertezza e segretezza: il braccio della morte.

Il codice di procedura penale prevede che l’esecuzione della pena di morte sia effettuata entro sei mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva e senza scampo, ma chi sarà giustiziato e in che tempi dipende da quel che passa per la mente del Ministro della Giustizia.

In un’altra epoca i termini di preavviso erano più lunghi, oggi le notifiche arrivano ai detenuti una o due ore prima dell’esecuzione, mentre le famiglie e gli avvocati vengono a conoscenza della loro impiccagione solo dopo che è avvenuta.

Si dice che il motivo per cui l’annuncio è fatto il giorno stesso dell’esecuzione è perché una volta un detenuto nel braccio di Fukuoka non ha atteso la morte per mano dello Stato, si è ucciso prima tagliandosi i polsi con un rasoio che aveva segretamente.

Il Ministero della Giustizia, invece, ha spiegato in parlamento e altrove che “gli avvisi anticipati possono disturbare la stabilità emotiva dei condannati a morte”.

L’attacco a sorpresa può avvenire quando meno te lo aspetti. Quando l’addetto della prigione apre la porta della cella e annuncia l’esecuzione e il prigioniero viene immediatamente preso, legato, ammanettato e portato con gli stessi vestiti nell’edificio dove si trova la camera della morte. Il detenuto è poi bendato e ammanettato con le mani dietro la schiena.

Una tenda si apre rapidamente e al centro della stanza appare l’apparato per eseguire la condanna a morte tramite impiccagione. Il boia pone il detenuto al centro di un segno quadrato e gli mette una spessa corda intorno al collo.

In una stanza separata da un vetro ci sono tre guardiani in fila uno accanto all’altro, in piedi davanti a una leva. Quando un alto funzionario dà il segnale, tutti e tre azionano il meccanismo contemporaneamente. Nessuno di loro potrà dire di aver compiuto l’atto decisivo.

L’asse del pavimento sotto il detenuto si apre all’improvviso con un rumore metallico, il corpo del condannato precipita e scompare alla vista. La corda oscilla avanti e indietro e qualcuno la afferra finché non smette di tremare.

Un medico che dovrebbe salvare una vita è lì per accertarne la morte. Spoglia il detenuto e gli posiziona uno stetoscopio sul petto, che sussulta ancora. Ascolta il battito del cuore di chi viene ucciso sotto i suoi occhi.

Questo rito raccapricciante è stato sospeso almeno per un anno, nel 2023. Per fortuna, l’anno è passato senza che un solo condannato a morte sia stato giustiziato in Giappone. Restano, però, ancora appesi alla firma di un decreto del Ministro della Giustizia, in attesa di essere appesi poi davvero alla forca, 107 persone condannate a morte.

Nel 2023 tre condannati hanno lasciato il braccio della morte, ma non sono stati liberati, sono usciti dal braccio come si suol dire “coi piedi davanti”: sono morti in prigione per cause naturali, semmai è possibile che “naturale” sia e non criminale la morte in carcere di un essere umano. Iwama è “evaso” ad agosto all’età di 49 anni.

Yuji Kubota se n’è andato a settembre all’età di 78 anni per insufficienza respiratoria. Miyuki Ueta è morto all’età di 49 anni soffocato dal cibo. I tre posti in tal modo liberati, sono stati subito occupati da tre nuovi condannati a morte: Hayato Imai, Takashi Uemura e Toshihiko Iwama.

I treni ad alta velocità giapponesi sono sempre in orario, partono e arrivano nel posto e al momento giusto in ogni stazione, collegano le parti più diverse dell’arcipelago, quelle della tradizione millenaria, del recente e tragico passato e di un futuro ancora ignoto a buona parte del mondo.

In un battibaleno, arrivi sulle spiagge subtropicali di Okinawa, vai all’isola di Hokkaido rinomata per i vulcani, le terme naturali e le stazioni sciistiche, approdi sull’isola di Honshu dove si trovano il memoriale della bomba atomica di Hiroshima e la capitale Tokyo famosa per i grattacieli di vetro lucente, lo shopping sfrenato e la cultura pop.

Nel braccio della morte del Sol Levante, invece, tutto è fermo, grigio, segreto. In un luogo come questo, fuori dal tempo e fuori dal mondo, non sorge mai il sole, regna l’incertezza, la vita stessa è una pena.