Gli israeliani irrompono
Parenti delle vittime contro Netanyahu, manifestanti fanno irruzione alla Knesset
I parenti degli ostaggi hanno occupato l’aula per chiedere il voto. Ma Netanyahu si arrocca: “Finché ci sarò io, non ci sarà lo Stato palestinese”
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Esasperati. Indignati. Determinati. Il loro gesto non ha precedenti nella storia d’Israele. E dà conto di un Paese ancora scioccato dalla tragedia del 7 ottobre ma che, 109 giorni dopo, è sempre più convinto che Benjamin Netanyahu sia parte, e grande, del problema e non la sua soluzione.
Bibi però non arretra. Semmai rilancia, erigendo il suo muro lungo la strada dei “due Stati distinti”. “Finché sarò primo ministro – dice – non ci sarà nessuno Stato palestinese”. Ma Netanyahu è in caduta libera. Le immagini dell’assalto alla Knesset hanno però fatto il giro del mondo. Decine di parenti di ostaggi detenuti da Hamas nella Striscia di Gaza hanno fatto irruzione in una riunione della commissione Finanze del Parlamento israeliano, o Knesset, urlando “Non vi siederete qui mentre loro stanno morendo lì!”.
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I manifestanti hanno interrotto la sessione chiedendo le dimissioni del primo ministro Netanyahu e invocando nuove elezioni. Poco dopo sono stati trascinati fuori ma la riunione è stata sospesa. Non erano soli. Decine di manifestanti si erano radunati davanti alla Knesset per chiedere nuove elezioni, accusando i partiti della coalizione al potere di essere “traditori che hanno rinunciato agli ostaggi”.
“La restituzione dei sequestrati non è un tema, è l’obbligo numero uno di questo governo. Gli ostaggi sono stati abbandonati e rapiti sotto il suo controllo e quindi deve fare di tutto per restituirli”, ha affermato Merva Michaeli, presidente uscente dei laburisti. Mor Shamgar, che guidava la folla in cori infuocati contro il primo ministro Benjamin Netanyahu, ha sostenuto di essere stata un elettrice del Likud fino al 1999 quando lui ha preso il potere. “Ho lasciato quando ho capito chi è Netanyahu. Si occupa solo di se stesso”, ha sottolineato.
Israele “ha una proposta sugli ostaggi”, prova a parare il colpo che tuttavia ha spiegato di “non poter dire altro”. Il premier – che ha incontrato alla Knesset alcuni rappresentanti delle famiglie degli ostaggi – ha aggiunto che “contrariamente a quanto è sostenuto non c’è una proposta sincera da parte di Hamas”. “Voglio dirlo – ha aggiunto – nella maniera più esplicita, anche perché ci sono molte notizie non corrette che di sicuro vi causano dolore”.
Se la guerra finisce, il governo cade. È l’avvertimento lanciato dal ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, durante una riunione del suo partito Otzma Yehudit. Il leader di estrema destra è un feroce oppositore di qualsiasi accordo per un cessate il fuoco, anche in cambio della liberazione dei sequestrati, e di qualsiasi allentamento della pressione militare su Hamas, fino alla sua completa distruzione.
Il messaggio è rivolto a Netanyahu, che da settimane è sottoposto a crescenti tensioni da parte degli alleati internazionali, a cominciare dagli Usa, per mettere fine al conflitto a Gaza, di fronte all’altissimo numero di morti tra i civili.
«Sediamoci, tu e io, e fissiamo una data per le elezioni, invece di tutta la politica e le liti durante la guerra». È quanto ha affermato il leader dell’opposizione Yair Lapid, rivolgendosi al primo ministro. Lapid ha aggiunto che le elezioni tanto «alla fine ci saranno in ogni caso. O attraverso una sfiducia costruttiva, oppure ci sarà una maggioranza per sciogliere la Knesset».
«Ci sono abbastanza persone nella vostra coalizione che non lo sopportano più», ha aggiunto riferendosi a Netanyahu. Lo riporta Ynet. Di tornare al voto chiede Gadi Eisenkot, l’ex capo di Stato Maggiore che assieme a Benny Gantz ha lasciato l’opposizione per entrare nel gabinetto ristretto.
Lo scrive Ehud Barak, l’ex premier laburista, il militare più decorato nella storia dello Stato ebraico, in un editoriale su Haaretz: «Gadi e Benny pretendano di fissare una data, giugno al massimo. Se Netanyahu li caccia dalla coalizione temporanea, le proteste saranno immense».
Se in Israele si tenessero oggi elezioni, dopo tre mesi e mezzo di guerra a Gaza, il partito di Unità nazionale di Benny Gantz conquisterebbe 37 seggi, più’ del triplo rispetto agli attuali 12, staccando di gran lunga l’attuale primo partito alla Knesset, il Likud di Benjamin Netanyahu, che ne perderebbe la metà, fermandosi a 16. E’ il risultato di un sondaggio condotto dall’emittente Channel 13.
Il partito Yesh Atid di Yair Lapid si fermerebbe a 14 (rispetto ai 24 attuali), mentre l’estrema destra di Sionismo Religioso di Bezalel Smotrich insieme a Otzma Yehudit, uniti nella precedente tornata elettorale, prenderebbero rispettivamente 6 e 8 seggi. I partiti ultraortodossi Shas e United Torah Judaism ne conquisterebbero rispettivamente 9 e 7, i partiti arabo-israeliani Ra’am e Hadash-Ta’ al 5 ciascuno, Yisrael Beitenu 9 e la sinistra radicale Meretz 4, mentre i laburisti resterebbero fuori dal Parlamento, così come Balad.
Con questi numeri, l’attuale coalizione di governo (che detiene 64 seggi) scenderebbe a 46, mentre la precedente maggioranza ne raggrupperebbe 69. Nel sondaggio è stato preso anche in esame il caso di nuovi leader alla guida dei principali partiti: se fosse il ministro dell’Economia Nir Barkat a guidare il Likud, il partito passerebbe da 16 a 21 seggi, mentre se a capo di Unità nazionale ci fosse l’ex capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot, ne prenderebbe 39 invece che 37. Netanyahu lo sa. Per lui la guerra è questione di vita o di morte politica. E lo sanno anche i familiari degli ostaggi. Se Hamas tiene in ostaggio 200 israeliani. “Re Bibi” tiene in “ostaggio” un paese.