Approvata la legge

Autonomia differenziata, così la Lega spacca l’Italia: al via la secessione

La riforma, merce di scambio per il presidenzialismo con FdI, prevede servizi minimi essenziali: peccato che non ci sono fondi per garantirli...

Politica - di David Romoli - 24 Gennaio 2024

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Autonomia differenziata, così la Lega spacca l’Italia: al via la secessione

La Lega ha vinto. Non quella di Matteo Salvini, con il suo miraggio di trasformarla in Lega nazionale affermandosi nel sud, ma quella di Umberto Bossi. La legge sull’autonomia differenziata scritta da Calderoli, leghista della prima ora, e approvata ieri dal Senato si avvicina moltissimo al federalismo quasi secessionista della prima Lega.

Approvata dal Senato con 110 sì contro 64 no divide l’Italia in regioni ricche e povere. Premia le regioni del Nord, penalizza definitivamente quelle del Sud. Hanno votato a favore tutte le forze di maggioranza, contro quelle di opposizione con l’eccezione di Azione che si è astenuta anche se Gelmini, in dissenso, ha invece votato a favore.

Il voto è stato salutato da un coro unanime, che intonava l’Inno di Mameli. Ha dato un la polemico l’opposizione ma la maggioranza si è accodata subito. Gran sventolio di bandiere tricolori e nel tripudio è spuntato anche il vessillo leghista. La riforma che segna il divorzio dell’Italia ricca da quella povera è un evento drammatico varato su sfondo grottesco. Zaia, felice, esalta la “pietra miliare”.

Per Calderoli è “il primo passo verso un risultato storico. In effetti sembra solo un primo passo, invece è l’ultimo. Nel monocameralismo alternato che si è imposto di fatto, la Camera si limiterà a vistare. In ogni caso l’approvazione definitiva di Montecitorio arriverà prima delle elezioni europee del 9 giugno. La Lega ha bisogno di una bandiera trionfante da sventolare e la otterrà”.

È la prima tra le grandi riforme promesse, o minacciate dalla destra, ed è anche la peggiore. In attuazione dello sciagurato Titolo V della Costituzione, imposto dal governo dell’Ulivo nel 2001 poche ore prima dello scioglimento delle camere e con un margine di maggioranza ridotto all’osso, assegnerà alle regioni a statuto ordinario che ne faranno richiesta la competenza esclusiva su 23 materie.

Tra queste materie 20 erano sinora a potestà concorrente, perché spettava allo Stato centrale l’indicazione dei princìpi fondamentali, e 3 erano di competenza esclusiva dello Stato. Del primo gruppo fanno parte materie come il lavoro, la ricerca tecnologica, la protezione civile, il governo del territorio, la distribuzione dell’energia. Del secondo l’istruzione e l’ambiente.

Sulla carta la diseguaglianza tra aree ricche e povere del Paese dovrebbe essere colmata da un emendamento imposto in extremis da FdI, quello che imporrebbe di stanziare i fondi per parificare i Lep, Livelli essenziali di prestazione, anche nelle regioni che non accederanno all’autonomia differenziata. Era solo un correttivo che non sarebbe comunque bastato a risolvere il problema.

Comunque a vanificarlo ci ha pensato il ministro dell’Economia Giorgetti imponendo una specifica determinante: la perequazione sarà possibile solo “a invarianza di bilancio”. Una missione impossibile se si pensa che nella scorsa legislatura la cifra considerata necessaria per uniformare i Lep ammontava a 50 miliardi e secondo molte voci non sarebbero bastati. E si parlava allora di una versione dell’autonomia molto più debole, che non prevedeva il passaggio dell’Istruzione alla potestà regionale.

La divisione dell’Italia in due fasce, la serie a e la serie b, è solo uno dei problemi che saranno determinati dalla vittoria della Lega. All’interno di questa divaricazione se ne introdurranno altre, sino a determinare 20 realtà regionali dispari e disomogenee. FdI, inoltre, ha ingoiato obtorto collo l’autonomia leghista in cambio del semaforo verde sul presidenzialismo.

La premier ha sostenuto che proprio la presenza di un premier forte come quello direttamente eletto rende necessario rendere più forti anche le autonomie regionali. Il capogruppo leghista Romeo, ieri in aula, ha ripetuto la stessa cosa, anche per rassicurare gli alleati sulla loro intenzione di onorare il patto e lo scambio. Ci vuole poco, però, per immaginare che i due poteri forti finiranno prima o poi per entrare in conflitto, moltiplicando i danni già ingenti provocati dal Titolo V negli ultimi due decenni.

A questa riforma il Pd si è opposto in maniera blanda e flebile. Ieri in aula non ha parlato il capogruppo in dichiarazione di voto ma il senatore Giorgis, che ha puntato soprattutto sui limiti costituzionali della legge, sui limiti giuridici della legge e solo alla fine ha citato “il rischio di aumentare le disuguglianze”.

In parte grava sulle spalle del Pd la responsabilità di aver aperto la strada con la folle riforma del Titolo V. In parte il Pd punta sulla Corte costituzionale per abbattere la legge. Non è una scommessa folle. La possibilità che la Consulta bocci l’autonomia è reale ma il risultato di una sentenza che cancellasse alcune parti della legge mantenendone altre sarebbe probabilmente lo stesso caos che ha fatto seguito alle sentenze della Corte sulle leggi elettorali.

Portato all’ennesima potenza. In aula, ieri, il Pd non ha parlato di referendum, possibilità alla quale aveva invece sia pur timidamente accennato nei giorni scorsi. Ma se c’è una legge che invece andrebbe contrastata frontalmente e col referendum abrogativo è invece proprio questa.

24 Gennaio 2024

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