L'addio a un campione
Preghiera in gennaio per Gigi Riva: Rombo di tuono, Luke Skywalker del pallone
Lo storico e indimenticato Scudetto con il Cagliari nel 1970. Il record di gol con la maglia della Nazionale. Il no alla Juventus: "Mi vergogno per chi ha fatto queste valutazioni. Per me è il capriccio di qualcuno, uno sfizio". E quello a Franco Zeffirelli. Nessuno amato come Giggiriva oltre tifo e rivalità
Sport - di Antonio Lamorte
Affinché giungesse un giorno perfino a chi non c’era, a chi non l’aveva visto in campo colpire e attaccare di pura potenza, o accasciarsi in urla strazianti come cadeva un torero, un dio: chi scriveva, scriveva anche meglio del solito, chi racconta lo fa meglio del solito. Ci ha sempre pensato la sua traiettoria. Biografia dolorosa e trionfale, portata addosso con quella faccia un po’ così di chi non dimentica, un sorriso timido, uno sguardo di ghiaccio. Gigi Riva ha fatto sognare, gridare al riscatto di un popolo intero, innamorare quante donne, piangere chissà quanti che lunedì hanno appreso della sua morte che ha raccolto il cordoglio anche del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e della FIFA che ha fatto calare a mezz’asta la bandiera italiana.
Giggirriva che prendeva le sue macchine sportive e partiva verso l’entroterra, nei paesini della Sardegna, e si fermava con la gente ed entrava nelle case e si emozionava quando vedeva la sua fotografia appesa vicino a quella dei parenti andati e del Papa. Giggiriva e i suoi gol come scariche elettriche che trapassavano il dolore. Gigi Riva il divo riservato, anti-divo che Raffaella Carrà aveva celebrato in uno stacchetto in televisione nell’ottobre del 1970. Giggirriva e le lettere del bandito Grazianeddu. Gigi Riva che rifiutò il passaggio alla Juventus in cambio di sei giocatori – tra cui Bettega, Gentile e Cuccureddu – e una cifra che definì immorale.
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“Questo non è più calcio. È un sistema del quale faccio parte, non so come cambiarlo ma so come difendermi – aveva detto in un’intervista a L’Europeo – Non mi sento di valere tanto. E mi vergogno per chi ha fatto queste valutazioni. Per me è il capriccio di qualcuno, uno sfizio. E poi uno venduto per sei giocatori più due miliardi deve anche rendere per sei giocatori più due miliardi. Deve vincere scudetti, coppe, tutto. Trasferito per quella cifra non sarei più lo stesso”. Un eroe non fa quello che è meglio fare, più conveniente o comodo fare: fa quello che è giusto fare.
E lui che in Sardegna nemmeno voleva andarci, restarci, arrivato dopo una stretta di mano tra il commendator Caccia, presidente del Legano, e il general manager del Cagliari Arrica nell’intervallo tra un primo e un secondo tempo. 37 milioni e lui che non ne sapeva niente, che non era neanche mai uscito dalla provincia di Varese. “A Cagliari sbarcai con l’idea fissa di chiedere scusa a tutti e di tornarmene a casa il prima possibile”, ha raccontato nell’autobiografia scritta da Gigi Garanzini, Mi chiamavano Rombo di tuono (Rizzoli). È andata a finire con un uomo, un’isola: lo storico, insuperabile Scudetto vinto nel 1970, gli Europei vinti con la Nazionale, il record di 35 gol in maglia Azzurra.
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Quando aveva cominciato a giocare in provincia, e le squadre se lo contendevano e lo premiavano con uova, formaggi, salumi la madre pensava che il figlio si fosse messo a rubarla tutta quella roba che portava a casa. I lavori da ascensorista e meccanico automobilistico: 37mila lire al mese. Lo ripeteva lui stesso nelle interviste che se non avesse fatto il calciatore, con molte probabilità avrebbe fatto il contrabbandiere. “E allora vediamo se cambia”, pensò qualche tempo dopo lo sbarco sull’isola. “Perché qui, ogni due-tre anni, c’è un funerale. E non in paese. In famiglia”. Il padre Ugo morto quando il figlio aveva 9 anni, la madre Edis a 16. La sorellina Candida appena un anno dopo della madre. E un aereo a elica per mettersi alle spalle una giovinezza di dolore e sofferenza. Era un orfano e un predestinato: Luke Skywalker del mondo del pallone. Le sue Guerre Stellari combattute e vinte senza tirare mai indietro la gamba.
Gigi Riva e la sua passione per Fabrizio De André – altro mito che scelse la Sardegna – e per la sua Preghiera in gennaio dedicata alla morte di Luigi Tenco. Giggirriva e la pesca, il tavolino come un trono in un ristorantino della Marina dove soltanto a lui era consentito fumare. Gigi Riva che al giornalista che gli riportava dell’apprensione degli italiani dopo l’infortunio che avrebbe messo fine alla sua carriera nel 1976, rispondeva: ok, ma anche meno, “non vorrei si facesse un dramma, è una cosa normale, che fa parte del nostro ambiente”, che quello dispiaciuto era soprattutto lui. Gigi Riva che chiamavano Hud Il Selvaggio come il personaggio interpretato da Paul Newman ma che rifiutò la parte di San Francesco in un film di Franco Zeffirelli: i giornali scrissero di un cachet di 400 milioni.
Gigi Riva che scese dal pullman scoperto dei Campioni del Mondo del 2006 quando vide salire personaggi che avevano criticato la squadra ancor prima della partenza dopo lo scandalo di Calciopoli. Non ha mai cercato il presenzialismo a ogni costo, non ha mai cercato la ribalta del gossip nonostante tutti i bigliettini che le ammiratrici gli lasciassero sotto i tergicristalli. Con Gianna due figli e cinque nipoti, un rapporto in Camere Separate molto prima di Sally Rooney. Un corpo poderoso stroncato da infortuni campali, immolato in maglia azzurra, Riva per vent’anni e più è stato capo delegazione della nazionale. È stato un padre, un fratello maggiore, l’uomo che si voleva diventare da grandi, portatore di una mascolinità fiera ma mai tossica, la persona che si voleva tenere accanto, intorno, a portata di mano, mai scalfito dalle prese di coscienza che intaccano genitori e altri modelli.
Un uomo come un’isola, solo con la sua depressione. “Nel suo viso incavato erano scritti infiniti ricordi di dolore – il passaggio indimenticabile scritto da Gianni Brera al momento del ritiro dal calcio giocato – divenuto in pochi anni uno dell’isola, si è sottratto quasi del tutto ai crudeli complessi di un’infanzia troppo a lungo umiliata nell’indigenza … Tentò di rinascere un’ennesima volta e il miracolo pareva già riuscito. Poi l’ha stroncato il destino. ‘No me dejas verlo’ implorava Garcia per Ignacio riverso nel suo sangue. Io vorrei solo che degli eroi autentici non si guastasse mai il ricordo. L’uomo Riva è un serio esempio per tutti. Il giocatore chiamato Rombo di Tuono è stato rapito in cielo, come tocca agli eroi”.
Gianni Brera che lo battezzò Rombo di Tuono dopo una prestazione dominante contro l’Inter a San Siro. Rombo perché un temporale lo senti arrivare da lontano: perché è il boato più che il lampo a riempire tutto lo spazio intorno e in area. Nessuno è stato amato come Giggiriva, in tutta Italia, al di là di tifo e delle rivalità: all’indomani della morte non si trovava la Gazzetta dello Sport in edicola. Ha insegnato come si possa appartenere a una terra senza esserci nati, come si può proteggere la bellezza dicendo di no. Che Gigi Riva sia morto in questi tempi, in mezzo ai fischi dell’Arabia Saudita, in questi anni di calcio e petroldollari e diritti tv, indica anche qualche altra cosa. E non è romanticismo, non è nostalgia: lui stesso raccontava come anche ai suoi tempi dirigenti e società trattassero gli atleti come fossero pecore. E però, a pensare a lui, si capisce: ecco com’è che non riesci più a volare.
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