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Scontro Schlein-Meloni, la segretaria del Pd manda ko la premier

Scontro Schlein-Meloni, la segretaria del Pd manda ko la premier

La sostanza conta fino a un certo punto. Gli occhi e l’attenzione sono tutti puntati sul duello mediatico. Anzi sui duelli, perché c’è quello attesissimo tra la premier e la segretaria del Pd, antipasto del ghiotto match televisivo che prima o poi arriverà, ma Conte sgomita, fa da terzo incomodo, incrocia la lama con Meloni anche per dimostrare che quello davvero efficace è lui e che è il match con lui che la premier teme di più.

Non che ci tenga a dimostrarlo per la gloria: la posta in gioco è chi sfiderà direttamente la leader della destra nelle prossime elezioni politiche. Camera dei deputati, question time, una domanda per gruppo, ha facoltà di rispondere la presidente del consiglio. Parte Fratoianni, chiede un cambio di marcia sulla guerra a Gaza senza precisare cosa s’intenda.

Meloni risponde in scioltezza: prima di tutto deve essere garantito che nessuno attenterà all’esistenza di Israele, ma sulla soluzione dei due Stati il governo è convinto, “Non condivido la posizione di Netanyahu”, e sugli aiuti alla popolazione di Gaza l’Italia non è stata seconda a nessuno. Magi, per +Europa chiede conto dei risarcimenti per gli eredi delle vittime delle stragi nazifasciste e delle assurde difficoltà burocratiche che incontrano. Meloni se la cava con l’obbligo per l’avvocatura dello Stato di “verificare i presupposti per il risarcimento” e sguscia.

Le prime scintille volano quando Richetti, Azione, chiede lumi su Stellantis. La premier ruggisce: “Se vendi un’auto come gioiello italiano, deve essere prodotta in Italia. Vogliamo tornare a produrre un milione di auto in Italia. Scoraggeremo chi delocalizza”. Poi la mazzata a Fca, a Elkann e indirettamente anche alla odiata (e odiante) Repubblica: “La fusione celava un’acquisizione francese dello storico gruppo italiano, tanto che oggi nel cda di Fca c’è un rappresentante del governo francese”.

Le questions della maggioranza, il reddito di cittadinanza e il supporto alla formazione per Lupi, gli anziani per la Lega, le privatizzazione per FI, l’agricoltura per FdI, sono un gioco delle parti. Fatte apposta per dichiararsi contenti nella replica, anche se il Carroccio, a proposito di terza età, spezza la sua ennesima lancia sulle pensioni. L’italiana viva Boschi, chiusa tra i 5S e la domanda finale del Pd, è condannata al ruolo di comprimaria con la sua domanda sull’aumento delle tasse per l’agricoltura.

Il leader dei 5S tende una trappola. A porre la domanda sul Patto di Stabilità non è Conte: il peso massimo spunta al momento della replica. Alla premier i 5S fanno l’effetto del rosso sbandierato di fronte al toro. Nel merito difende il patto, non perché sia quello per lei ideale ma perché è “la migliore intesa possibile nelle condizioni date” ed è comunque molto meglio delle regole precedenti, che sarebbero tornate in vigore senza la resa dell’Italia, che è tale anche se Giorgia non può certo ammetterlo. Non è più “la cieca austerità”.

Sarà anche vero che la clausola imposta dalla Germania abbassa di fatto all’1,5% il rapporto deficit/Pil, solo formalmente ancora al 3%, ma le regole precedenti imponevano un avanzo dello 0,35% e si tratta di 35 miliardi a disposizione in più. Senza contare che, fino al 2027, nel deficit non saranno calcolati gli interessi sul debito. Quel che non dice è che le vecchie regole erano davvero un nodo scorsoio.

Però non le rispettava nessuno. E comunque quando si arriva a una trattativa col macigno di un deficit di oltre il 5% per colpa del superbonus targato 5S non è facile essere credibili. Nella replica comiziante Conte è efficace: “Lei è un Mida al contrario. Quel che tocca distrugge, la prego faccia anche meno di quel che fa! È andata a Bruxelles per far tremare l’Europa ed è tornata col Pacco di Stabilità che fa tremare gli italiani. Io ho portato a casa il Pnrr. Lei ci costa 12 miliardi all’anno”.

Schlein, nella sfida clou, sceglie il terreno più sicuro: la sanità. Chiunque governi, con la sanità in ginocchio, le liste d’attesa eterne, il personale alle corde, è costretto a difendere l’indifendibile. La leader del Pd chiede perché il maledetto tetto sulle assunzioni non sia stato modificato e perché il governo non si decide a varare un piano straordinario. Elly sa qual è il suo punto debole e mette le mani avanti: “Ma per favore non risponda chiedendo perché non lo abbiamo fatto noi quando eravamo al governo perché ora, da 16 mesi, al governo c’è lei”.

L’interrogata ha la battuta pronta: “Non chiedo questo. La ringrazio anzi per la fiducia che dimostra chiedendo a noi di risolvere quel che voi non avete saputo risolvere”. Poi però annaspa, perché il quadro è quello che è ed è disastrato.

La sfidante ha gioco facile nel rispondere snocciolando parole a macchinetta (troppo a macchinetta, prima o poi qualcuno dovrà insegnarle a parlare con calma). “Destra sociale? No, voi siete la destra letale. Il solo tetto che avete tolto è per la sanità privata perché questo è il vostro obiettivo. E quando è stato fissato il tetto, nel 2009, al governo c’era lei”.

Hanno ragione entrambe, perché nello smantellare la sanità pubblica centrosinistra e centrodestra hanno sempre e solo gareggiato. Ma al governo, oggi, c’è la destra e per questo nonostante l’abilità dialettica della premier a segnare il punto stavolta è Elly. Il seguito alle prossime puntate. Anzi alle prossime scazzottate.