La Premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi ha scritto una lettera dal carcere di Evin, dov’è detenuta a Teheran. Una lettera – pubblicata in Italia da Il Corriere della Sera – indirizzata alle Nazioni Unite, agli Stati membri dell’Onu, al segretario generale Antonio Guterres per chiedere di condannare “ufficialmente” quello che definisce “l’apartheid di genere come crimine contro l’umanità”. Ovvero una forma di discriminazione basata sul genere in vigore in Iran e in Afghanistan. Mohammadi non ha potuto ritirare il Premio conferitole: a Oslo ci sono andati i figli gemelli di 17 anni, una sedia vuota a ricordare lei che dal 2021 è detenuta a Teheran, arrestata 13 volte e condannata a 31 anni e 154 frustate.
“Per decenni, le donne iraniane si sono scontrate con varie forme di discriminazione in base al sesso e al genere, istigate dal governo della Repubblica islamica. Sistematicamente e deliberatamente, l’Iran ha imposto la sottomissione delle donne con tutti gli strumenti e i poteri dello Stato, in particolare tramite le leggi, al fine di perpetuare la negazione dei diritti umani delle donne”, si legge nella missiva. “In una società dove metà della popolazione vede negati i suoi diritti naturali, ogni dibattito sulla democrazia, sui diritti umani, sulla libertà e uguaglianza appare irrilevante”.
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Chi è Narges Mohammadi
Mohammadi è ingegnera, attivista. È nata a Zanjan nel 1972, è laureata in fisica ed è membro dell’ong Centro dei difensori dei diritti umani, la cui fondatrice Shirin Ebadi è stata anche lei premiata con il Nobel. Mohammadi ha messo al centro del suo attivismo i diritti dei carcerati e l’abolizione della pena di morte. È stata arrestata 13 volte e condannata cinque volte per complessivi 13 anni di prigione. Secondo le accuse di familiari e attivisti è stata sottoposta anche a pene corporali, come quella di 154 frustate.
L’ultima volta che è stata fuori dalla prigione era il 2020, le fu proibito di raggiungere i figli e il marito in Francia. Ha denunciato le violenze sulle donne in carcere. Ha continuato a protestare nonostante le condanne, ha appoggiato il movimento “Donna, Vita, Libertà” esploso con la morte di Masha Amini che ha scatenato le proteste più dure in Iran dalla fondazione della Repubblica islamica sciita nel 1979, e continuato con la morte di Armita Garawand. Crede che il movimento abbia accelerato la democratizzazione del Paese.
La denuncia di Narges Mohammadi
L’attivista cita anche l’Afghanistan e il governo dei talebani tornati al potere a Kabul nell’agosto del 2022. Mohammadi cita alcuna delle leggi che costringono le donne a quella che definisce una segregazione e sottomissione nella società iraniana: il permesso del tutore legale, il padre o il marito, per ottenere un passaporto e viaggiare all’estero; il divieto di studiare in determinate facoltà universitarie come ingegneria aerospaziale o il permesso soltanto dietro consenso del tutore; nei tribunali le testimonianze maschili vengono considerate pari a quelle di due donne; divieto di andare allo stadio; la metà dell’eredità.
E ancora: lo stupro coniugale non è un reato al contrario dell’“inadempienza” da parte femminile al rapporto; tasso di femminicidi in crescita da 45 anni; aumento anche delle spose bambine e degli aborti clandestini; 74 frustate per non aver indossato l’hijab; lapidazione per le donne considerate colpevoli di adulterio. “Negli ultimi 45 anni, malgrado un numero rilevante di donne in grado di proporre la propria candidatura alla presidenza, il Consiglio dei Guardiani ha ostacolato il loro ingresso in questa arena attraverso l’interpretazione delle leggi contro le donne”, aggiunge l’attivista nella lettera.
L’appello della Premio Nobel
Mohammadi ha rilanciato l’appello argomentando che “è sufficiente modificare la bozza dei crimini contro l’umanità delle Nazioni Unite per includervi l’apartheid sessuale e di genere. Non è un percorso difficile ed è realizzabile. Le donne in Iran e Afghanistan aspettano l’attenzione immediata e l’azione dell‘Onu per compiere questo passo irrinunciabile”.