La decisione
La Consulta fa cadere un tabù, illegittimo impedire l’affettività in carcere: la sentenza storica
Una sentenza storica che fa cadere un tabù. La Corte Costituzionale apre le porte alla sessualità in carcere e alla vita affettiva dei detenuti. Secondo i giudici della Consulta l’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui col coniuge, persona stabilmente convivente o comunque parte dell’unione civile, senza il controllo a vista del personale di custodia, anche quando ciò non sia giustificato da ragioni di sicurezza,
Secondo la sentenza numero 10 del 2024, “l’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società”.
Il caso finito alla Consulta
A portare il caso davanti alla Consulta il magistrato di Sorveglianza di Spoleto Fabio Gianfilippi. La questione riguardava in particolare un condannato in via definitiva per tentato omicidio, furto aggravato ed evasione, che deve scontare la sua pena nel carcere di Terni sino al 2026.
Senza permessi premi e avendo accumulato sanzioni disciplinari, il detenuto non aveva alcuna possibilità di avere rapporti sessuali con la sua compagna, dato che gli incontri in carcere si svolgono sotto la vigilanza permanente. Per Gianfilippi, che ha portato il caso alla Consulta, si trattava di un “vero e proprio divieto di esercitare la sessualità“, in contrasto con più principi costituzionali.
Nell’indicare alcuni profili organizzativi implicati dal via libera all’intimità in carcere (dalla quale sono esclusi i ristretti al 41bis e i sottoposti a sorveglianza speciale), la Corte auspica una “azione combinata del Legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze“, “con la gradualità eventualmente necessaria“.
Le reazioni alla sentenza
“La Corte Costituzionale ha finalmente riconosciuto il diritto all’affettività in carcere. Si tratta di una sentenza di civiltà“, hanno esultato gli avvocati di Cammino. “Non si sollevino ora dubbi, non si trovino alibi organizzativi o pretesti della serie: come facciamo, non ci sono le strutture, non abbiamo gli spazi e il personale“, hanno chiesto invece i dirigenti di Nessuno tocchi Caino.
Critico invece il sindacato Uilpa, secondo cui la pronuncia “che apre ai colloqui affettivi, anche intimi, in carcere pone una serie di ulteriori problematiche logistiche, gestionali e operative alle gravissime esistenti ed è destinata ad aumentare considerevolmente il già insostenibile carico di lavoro per gli operatori, peraltro decimati negli organici con 18mila unità mancanti al solo Corpo di polizia penitenziaria“.