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Chi ripagherà Beniamino Zuncheddu? La sua storia sia il faro politico e mediatico per riformare la giustizia

Beniamino Zuncheddu

È stato assolto per non aver commesso il fatto. Ma Beniamino Zuncheddu prima ha dovuto scontare 33 anni di detenzione per una condanna all’ergastolo. Era stato accusato dell’omicidio di due pastori. I fatti sono noti come la strage del Sinnai, avvenuta in Sardegna nel 1991. Zuncheddu aveva 27 anni. Oggi che è tornato in libertà ne ha 60. Lo Stato italiano gli ha praticamente rubato la vita. E lo ha fatto per gli errori clamorosi commessi da magistrati e forze dell’ordine che si sono occupati del caso. Indagine condotta male, intercettazioni sballate, prove farlocche e false testimonianze. Un castello di sabbia che si è sgretolato grazie alla determinazione del suo avvocato Mauro Troguo e al sostegno dato loro dal Partito Radicale. Forse i soli, da un punto di vista politico, ad essersi intestati questa battaglia. In fondo quella storica di Marco Pannella: per una giustizia giusta.

Invece in Italia regna la mala giustizia. Quella fatta di sopruso e tortura che disattende sempre e comunque l’articolo 27 della Costituzione. Una giustizia fatta di corporativismo, quello dei magistrati e di un’eterna lotta tra questi ultimi e i politici incapaci di fare le dovute riforme. E oggi si continua a parlare proprio della fatidica riforma della giustizia. Una sorta di moloch impossibile da cambiare. Qualcuno durante gli ultimi 30-40 anni ci ha provato ed ha fallito. Alla fine il tema giustizia non è più ‘cavalcato’ ai fini del rispetto dello Stato di Diritto ma per propaganda. Come si dice banalmente? Giustizialisti con i nemici e garantisti con gli amici. Una vergogna pagata dai tanti Beniamino Zuncheddu d’Italia la cui esistenza è stata distrutta solo per aver ricevuto un avviso di garanzia o per essere stati ingiustamente arrestati e sbattuti in carcere.

Un sistema che uccide e umilia i più deboli. Eppure, un argomento del genere, non è trattato con la rilevanza che meriterebbe. I media l’hanno snobbato. Hanno preferito approfondire altri temi: le presunte truffe della Ferragni, la vicenda del ‘pistolero’ Pozzolo, il confutare le recensioni dei locali pubblicate sui social, discutere un giorno si e l’altro pure del ritorno del fascismo, indagare sulla famiglia della premier Giorgia Meloni pur di attaccarla e infine – e qui si è raggiunto l’apice – attaccare un’azienda perché ha ospitato il ministro Matteo Salvini. Fa bene a dirlo il Direttore Piero Sansonetti: i giornalisti preferiscono essere populisti e asserviti alle procure piuttosto che denunciare le vere vergogne, come ad esempio quella dei morti in mare e  – appunto – quella di una persona che da innocente è stata in una cella per oltre 30 anni.

Forse, sul tema giustizia, è più facile parlare dell’inutile reato di abuso d’ufficio o dello pseudo bavaglio che il governo vorrebbe mettere alla stampa. Quest’ultima ha sempre trovato più corretto sbattere il ‘mostro’ in prima pagina, solo perché ritenuto colpevole da un pm senza neanche che quella persona fosse stata rinviata a giudizio. E invece nulla, silenzio e indifferenza per Beniamino Zuncheddu. Silenzio e indifferenza rispetto anche alle risposte che qualcuno dovrebbe dare a queste domande: quando sarà approvata, finalmente, una legge per la responsabilità civile dei magistrati? Chi pagherà per questi errori, chi restituirà quei 33 anni a Beniamino? È proprio questo, forse, il segnale della morte del giornalismo e della politica. Tuttavia, entrambe possono ancora salvarsi. Quello di Zuncheddu può diventare un faro che potrebbe illuminare un sistema buio e carnefice. Ma chi avrà il coraggio di accenderne la luce?