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Chi era Sandra Milo, da Musa di Fellini alla storia con Craxi

Chi era Sandra Milo, da Musa di Fellini alla storia con Craxi

Molte cose ricorderemo di Sandra Milo, diva, antidiva, “svampita” per pubblica fama, scomparsa ieri, novantenne, eppure intatta della sua creaturale natura, nel suo disegno di ragazza, forse addirittura bambina, percepita come volto contemporaneo ancora adesso, nulla a che vedere con le vecchie glorie, con i revival, i come eravamo.

Intatta, come se il tempo guardasse altrove, salvandola dagli insulti dell’età, delle rughe, delle cose che sfioriscono. Sorridendo, Sandra, “la Milo”, raccontava che avrebbe voluto andarsene, morire, dopo i suoi figli, per non lasciarli soli, un modo di rassicurarli rispetto alla loro paura della morte stessa, così Sandra che ha lavorato fino alla fine, per indole, piacere e forse anche necessità materiale, sopravvivendo, sollevandosi nella memoria nazionale cinematografica condivisa perfino oltre l’oro glorioso del bianco e nero e delle passerelle che la mostrava, femminilmente totemica, nelle inquadrature del capolavoro più misterico di Federico Fellini, “8½”.

Sandra imponente, i tacchi, la veletta, e Marcello Mastroianni che le disegna le sopracciglia da vampira, da maliarda, da seduttrice, da candida signorina… Oppure lunare in Giulietta degli spiriti, ancora Fellini, sia pure già circondato dalle luminarie del technicolor. Ancora, molti anni dopo, eccola in scena, sul piccolo schermo, nella sua più prosaica esperienza televisiva, e sono anni del craxismo, Piccoli fans, 1984-1989…

Un dettaglio che ne restituisce la verità umana: il giorno delle dimissioni di Craxi, all’Hotel Ergife di Roma, all’imbocco dell’Aurelia, c’era lei, seduta in prima fila, ed erano vere, sincere le sue lacrime per “Bettino”, Sandra sul serio dolente, così mentre altri, delegati e “clientes”, cinicamente avveduti, pensavano già alle soluzioni future da escogitare per sopravvivere politicamente, garantirsi, mettersi in salvo nel mattino del giorno dopo, del domani lavorativo.

“Ho sempre avuto un credo socialista, fin da ragazzina – così diceva – a 12 anni leggevo Marx, Engels, Lenin, Proudhon… mi volevo costruire una coscienza sociale ed ero molto attratta dall’idea socialista. Andavo ai comizi di Togliatti, di Nenni. Bettino era il pupillo di Nenni, ed era un uomo molto affascinante, molto seduttivo, con una voce fantastica”.

Ne nacque, se non proprio un amore fiammeggiante, una relazione lunga, vera, amorevolezza, fedeltà più che amicale, così confessava infatti la “compagna” Sandra Milo, cioè “Sandrocchia”, almeno per i titoli strillati dei rotocalchi, fellinianamente tale.

Il “suo” Federico, certo, ma ancora, sfogliandone la filmografia non sempre esaltante, la ricordiamo in un capolavoro di Antonio Pietrangeli, il regista che meglio d’altri ha saputo accostarsi in modo magistrale e toccante al femminile, La visita del 1963, storia di amori per corrispondenza, lei, Sandra, a bordo di una “Balilla”, nella provincia ferrarese, un film sulla solitudine, sull’incomprensione, sulla greve grettezza dei maschi, lei, nei panni e la messa in piega di Pina, accanto ad Adolfo, interpretato da François Périer, commesso romano di libreria.

E ancora la ricordiamo a campeggiare come regina di un gossip improbabile, eppure convincente negli anni Ottanta, quando raccontava di essersi sposata con un ex guerrigliero cubano che aveva conosciuto la durezza della Sierra e dell’Escambray insieme a Che Guevara e Camilo Cienfuegos, salvo poi scoprire che si trattava di un bagnino forse di Varadero, forse di Playa.

Sandra che non si è negata nulla, Sandra, “la Milo”, che ha subito forse uno dei più crudeli scherzi che la televisione abbia mai mostrato nelle sue ore pomeridiane: una telefonata in diretta, una voce femminile che la invita a raggiungere suo figlio Ciro “in fin di vita all’ospedale, Sandra, Sandra, che fai lì?” E Sandra: “Ma chi, Ciro? Ciro, Ciro…” Sandra che un istante dopo lascia precipitosamente lo studio di via Teulada. Ancora adesso quel materno grido improvviso risuona crudele, quasi a intaccare la materia preziosa del suo volto, dei suoi fianchi matronali a spasso nei capolavori felliniani.

Sandra che, come Claudia Cardinale era nata a Tunisi, da genitori siciliani e toscani, Milo è solo uno pseudonimo, sulla linea puntinata delle carte d’identità ufficiali c’era invece modo di leggere Salvatrice Elena Greco, nome e cognome senza apparente aura, da dirimpettaia, poca gloria nella casella dei citofoni.

Occorre, restando sempre nella filmografia di Pietrangeli, oltre a Adua e le compagne (1960), ritrovarla in Fantasmi a Roma (1961) sempre la sua imponenza fisica, “maggiorata” si diceva un tempo, anzi, negli anni 50, svagata, smarrita, ectoplasmatica e insieme pronta a mostrarsi come negazione di un qualsiasi cerimoniale divistico, per sua naturalezza, accompagnata da una vocina amabile, da piccina mai giunta all’età pienamente adulta, un timbro di seta, imbevuta in un dominio fatato…

Nel suo palmarès cinematografico, nonostante il retorico titolo di “musa” di Fellini, con il quale ebbe anche una relazione amorosa, a un certo punto sembra farle velo la militanza televisiva, proprio negli anni del Garofano, eppure, lo si è detto, il suo sentimento socialista era reale, profondo, sentito, pienamente “civile”, umanistico.

L’annuncio della sua morte è giunto dai suoi familiari, via social: “Oggi alle 8:25 del mattino nostra madre è venuta a mancare. Ci ha lasciato serenamente, addormentandosi nel suo letto, nel modo in cui ci aveva espressamente richiesto, circondata dal nostro amore e da quello dei suoi amati cani Jim e Lady. Debora, Ciro e Azzurra”...

Sandra da anni risiedeva nel quartiere romano della Balduina, lo stesso dove ha inizio l’avventura di Il sorpasso, non lontano da via Proba Petronia, paradigma dell’Italia nell’estate perfino immobiliare del Sessanta, e fino a pochi giorni fa c’era ancora modo si sentirla tra noi, amabile e sincera nella sua, ripeto, naturalezza, come un’immensa gattona d’angora bionda, capace perfino di stare in equilibrio nella narrazione dei reality. Per lei credo possa valere ciò che Pier Paolo Pasolini ha scritto per un’altra attrice che le era cara, ossia anche immaginandola adesso nella sua tomba dobbiamo pensarla rimasta intatta bambina.