La protesta dei trattori, gli agricoltori europei che dall’inizio di gennaio manifestano soprattutto in Francia, Germania e Belgio (ma da alcuni giorni anche nel nostro Paese) contro le politiche europee per l’agricoltura giudicate troppo penalizzanti contro il settore, è arrivata a Bruxelles.
Almeno mille mezzi pesanti questa mattina hanno invaso la città belga, secondo la polizia il grosso dei manifestanti proviene proprio dal Belgio, intasando le strade intorno al vertice Ue che si tiene oggi.
Un centinaio di agricoltori ha lanciato bottiglie e uova contro la sede del Parlamento europeo all’ingresso principale situato a Place de Luxembourg e la polizia belga, schierata in tenuta anti-sommossa dietro alle transenne posizionate lungo tutto il perimetro, ha azionato gli idranti. I manifestanti, presenti nelle vie adiacenti all’Eurocamera con centinaia di trattori, hanno fatto esplodere anche numerosi petardi al grido di “Senza agricoltori non c’è agricoltura“.
Gli agricoltori in protesta davanti al Parlamento europeo hanno anche distrutto una delle statue di Place Luxemburg. Si tratta della statua del meccanico Beaufort, uno dei quattro operai rappresentati attorno al monumento dedicato all’ex industriale belga-britannico, John Cockerill. I manifestanti l’hanno buttata a terra in mezzo a pallet dati alle fiamme.
Perché protestano gli agricoltori
Cosa chiedono gli agricoltori europei? Innanzitutto una semplificazione burocratica, ma l’oggetto del contendere sono soprattutto i vincoli di caraterebbe ambientali decisi dall’Unione Europea che riducono i loro già scarni ricavi.
Nel mirino degli agricoltori giunti oggi da tutta Europa a Bruxelles, che per protesta hanno anche appiccato alcuni roghi con legna e pneumatici, ci sono dunque la Politica agricola comune (Pac) e il Green Deal europeo.
Quest’ultimo prevede tra i suoi target la riduzione nell’uso dei fitofarmaci del 50% entro il 2030, oltre ad altre direttive per ridurre drasticamente le emissioni nocive nel settore zootecnico: secondo gli agricoltori si tratta di obiettivi irrealistici che porterebbero la filiera, che vede impegnati 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, al collasso.
La risposta europea alla protesta dei trattori
Per fare fronte alle proteste dall’Unione Europea sono arrivati dei segnali di distensione. La Commissione guidata da Ursula von der Leyen, come riferisce l’Agi, ha proposto ai contadini di avvalersi di deroghe per il 2024 dalle norme della Politica agricola comune (Pac) che li obbligano a mantenere determinate zone non produttive.
Per ricevere il sostegno della Pac gli agricoltori europei devono infatti rispettare una serie di nove standard per l’ambiente e il clima, denominato Gaec, dall’acronimo in inglese per “buone condizioni agricole e ambientali”. Un principio di condizionalità che si applica a quasi il 90 per cento della superfice agricola utilizzata nell’Ue, ad esserne esentati sono generalmente le aziende agricole con meno di dieci ettari di terreno coltivabile.
Di fronte alle contestazioni degli agricoltori riguardo l’obbligo, previsto dalla Politica agricola comune (Pac), di tenere a riposo il 4% dei loro terreni come condizione per poter accedere ai contributi comunitari, la Commissione europea ha proposta una ulteriore deroga per il 2024 dopo quella già concessa lo scorso anno: una mossa insufficiente per i sindacati di categoria.
Tra l’altro le norme europee non prevedono che si possa prorogare per due anni di seguito un parametro così importante. Dunque la Commissione è ricorda ad una sorta di “sotterfugio” nella sua proposta agli agricoltori: al posto di lasciare il 4 per cento dei propri campi incolti, su quei terreni potranno essere coltivate piante che hanno effetti particolarmente benefici sulla terra (come piselli, fave o lenticchie) o colture a crescita rapida.
Unione Europea che starebbe anche valutando un meccanismo per limitare le importazioni dall’Ucraina: quella concorrenza estera è l’altro grande timore degli agricoltori europei, da Kiev all’accordo di libero scambio che la Commissione sta negoziando con i Paesi del Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay).