L'appello della radicale
“Sciopero della fame per chiedere a Meloni di vedere cos’è una prigione”, parla Rita Bernardini
«In Italia abbiamo oltre 100 carceri, sui 189 totali, con una media di sovraffollamento del 150%. Quindi ce ne sono alcune in cui il sovraffollamento supera il 200%»
Interviste - di Angela Stella
Rita Bernardini, Presidente di Nessuno Tocchi Caino, sta conducendo uno sciopero della fame per chiedere alla Presidente del Consiglio Meloni di mettere in campo iniziative al fine di diminuire la pressione della popolazione carceraria.
Da quanti giorni è in sciopero?
Sono al decimo giorno. Oggi sarò nel carcere di Torino, nell’ambito dell’iniziativa del “Satyagraha 2024” promosso da Nessuno Tocchi Caino, insieme alla Camera penale locale, al Movimento Forense, al Garante regionale dei detenuti. Domani invece visiteremo il carcere di Aosta. Proprio due giorni fa ricorreva l’anniversario della morte di Gandhi. Una felice ricorrenza perché Satyagraha è proprio un termine gandhiano che vuol dire forza della verità. Gandhi aveva nei confronti del potere con il quale si confrontava l’apertura al dialogo e non la demonizzazione: era il suo modo di essere religioso nel senso letterale del termine, “tenere insieme”. È con questo spirito che ci rivolgiamo al potere.
Come sta fisicamente?
Sto abbastanza bene. Vado avanti con i soliti 3 cappuccini al giorno e acqua, pari a 360 calorie.
Vogliamo ricordare i motivi principali dello sciopero?
Il nostro obiettivo è quello di ridurre la pressione delle presenze dei detenuti in carcere e di migliorare le condizioni di detenzione. Con il sovraffollamento crescente stiamo arrivando ai livelli del 2013 quando l’Italia fu condannata dalla Cedu. Dai calcoli che ho fatto in base ai dati disponibili sul sito del Ministero della Giustizia abbiamo oltre 100 istituti, sui 189 totali, con una media di sovraffollamento del 150%. Quindi ci sono carceri che superano il 200%.
Che limite si è dato per il suo sciopero?
Non ho un limite. Uno sciopero della fame e soprattutto nella forma nonviolenta concepita da Marco Pannella, intende instaurare un dialogo con chi ha il potere di intervenire, in questo caso con la premier Giorgia Meloni.
Perché lei e non Nordio?
Perché è in primo luogo il Presidente del Consiglio che deve dare indirizzi di governo. Vorrei che la Premier accettasse il dialogo che con Roberto Giachetti – che come me è al decimo giorno di digiuno e che è il presentatore di una proposta di legge – e tanti altri stiamo ricercando attraverso il Satyagraha. Nei suoi confronti mi esprimerei con un “cara Giorgia”. Le chiederei di permettermi questa confidenza dovuta al fatto che sia lei che io abbiamo iniziato giovanissime a fare militanza politica “da strada”, seppure con vedute politiche diverse, molto diverse. Ora lei è una giovane Presidente del Consiglio che ha giurato sulla Costituzione mentre io sono una donna anziana di 71 anni che nella vita ha avuto la fortuna di operare per più di cinquant’anni al fianco di un leader come Marco Pannella e come incarichi istituzionali ha ricoperto solo quelli di consigliere comunale a Roma e deputata della XVI legislatura. Sono convinta che lei meriti il prestigioso incarico che ricopre così come io (nel mio piccolo) di essere la presidente di un’associazione che si occupa (da trent’anni) di diritti umani fondamentali e che si chiama Nessuno Tocchi Caino.
Forse neanche sa che è in sciopero visto che la stampa tace.
Sì, a parte alcuni giornali, come il vostro, credo che la notizia sia passata poco. Poche righe forse su Repubblica e Corriere. Ma si sa che questo succede regolarmente nelle azioni nonviolente: devi arrivare in punto di morte per ricevere attenzione; invece, se compi un’azione violenta, si è immediatamente presi in considerazione.
Al momento dunque nessuna chiamata dal Governo per sapere come sta?
No. Per ora stiamo cercando di diffondere il più possibile questa iniziativa. Da qui anche le nostre visite nelle carceri e gli incontri pubblici.
Finalmente la nuova terna del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale si è insediata. Vuole rivolgere un appello?
Conduco una trasmissione su Radio Leopolda dal titolo «Carceri, bisogna vederle». Ecco, è quello che dovrebbero fare loro. Penso che partano svantaggiati in merito alla consapevolezza di ciò che avviene al di là di quelle mura, in quanto non credo abbiano mai visitato un istituto di pena. Per capire e respirare quella particolare e sofferente atmosfera bisogna entrarci spesso e viverla a fondo. Loro compito principale sarà quello di garantire i diritti violati dei detenuti, considerato che siamo in presenza di violazioni sistematiche.
Positiva, comunque, la sentenza della Corte costituzionale sull’affettività in carcere?
Ci abbiamo ragionato a Radio Carcere su Radio radicale. Come è possibile organizzare quel tipo di incontri con un rapporto detenuti/agenti e altro/personale educativo così sproporzionato? Già è difficile organizzare le attività trattamentali, i colloqui, le video chiamate, come si può pensare di concretizzare quello che chiede la Consulta? Bisognerebbe quanto prima diminuire la popolazione carceraria per due ordini di ragioni: si avrebbero più spazi per gli incontri affettivi e il personale dovrebbe occuparsi di un numero minore di reclusi.
Nordio ha detto che i suicidi in carcere sono inevitabili come le guerre e le malattie. Come replica?
A parte il fatto che le guerre e le malattie sono evitabili (lo dimostra la Storia). Forse occorre comprendere meglio cosa sia il carcere. Un detenuto entra in un luogo di disperazione ed è nelle mani dello Stato, che ne diviene responsabile. Mi porrei, se fossi Nordio, il problema del carcere come istituzione totale, nella quale il vivere quotidiano è scandito da ciò che l’amministrazione decide di farti fare. Siamo arrivati quest’anno già a 13 suicidi e se la tendenza rimane la stessa dei primi 30 giorni arriviamo a oltre 150: è questo che si vuole?
Che voto dà a questo governo e a questa legislatura, tra maggioranza e opposizione, sul tema dell’esecuzione penale?
Quello che ho dato ai governi e ai parlamenti precedenti. Il carcere e l’esecuzione penale sono i grandi dimenticati della politica. Non portano voti, e sia nella gran parte dei politici che nel mondo dei media non si sentono vivi i principi costituzionali così come dovrebbero essere vissuti in un Paese civile. Dunque, il mio è un voto pessimo. Tra l’altro questo governo ha fatto di tutto e di più per aumentare i reati e le pene e le soluzioni presentate sono assurde. Mentre noi abbiamo le nostre proposte, senza che si creino problemi nella società ma anzi con la possibilità di ridurre la recidiva e quindi ottenere più sicurezza per tutti.
Credo sia impossibile parlare di amnistia e indulto.
E invece sarebbero le misure necessarie da attuare, tanto più in un momento in cui si parla di riforma della giustizia, di fondi legati al Pnrr per diminuire l’arretrato. L’amnistia servirebbe a far rifiatare i tribunali mentre l’indulto potrebbe far diminuire immediatamente il numero dei reclusi. Ci sono 14mila detenuti con una pena residua da un giorno a due anni. Inoltre, proprio due giorni fa, parlavo con la direttrice di Rebibbia che mi diceva – e succede in tutta Italia – che entrano in carcere persone per scontare 15 giorni. Che senso ha in termini di rieducazione tenere queste persone dietro le sbarre? Dopo di che sappiamo che per una legge di clemenza occorrono maggioranze qualificate oggi irraggiungibili. Allora un buon governo può agire per ridurre il sovraffollamento con gli strumenti che già ci sono e che sono stati utilizzati in passato, quali la liberazione anticipata speciale.