La guerra in Medioriente

Israele tra vanagloria, silenzi su Gaza e orgoglio infondato: la critica di Gideon Levy

Dopo la guerra dello Yom Kippur (1973) il paese seppe ragionare e correggere. Stavolta no: solo vanagloria, silenzi su Gaza, orgoglio infondato

Esteri - di Umberto De Giovannangeli - 4 Febbraio 2024

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Israele tra vanagloria, silenzi su Gaza e orgoglio infondato: la critica di Gideon Levy

La rottura è nella memoria. Interrotta. Cancellata. Nei suoi 75 anni di storia, come Stato “focolaio nazionale ebraico”, Israele ha saputo trarre insegnamenti, spesso dolorosi, dalle tante guerre combattute. Stavolta non sembra essere così. A darne conto, per il quotidiano Haaretz, è la coscienza critica d’Israele: Gideon Levy.

Annota Levy: “Dopo la Guerra dello Yom Kippur, Israele chinò umilmente il capo e si rimodellò. Il paese traumatizzato si chiuse in se stesso e si mise a piangere. L’arroganza e la vanagloria post-Guerra dei Sei Giorni scomparvero, così come il culto militarista della personalità e l’adorazione dell’esercito.

È già chiaro che questa volta sarà diverso. L’arroganza, la vanagloria e il culto della potenza armata sono tornati, in grande stile. In realtà, non sono mai scomparsi. Nei primi giorni hanno regnato lo shock e l’impotenza, l’orrore e persino l’umiltà, ma l’arroganza è tornata rapidamente. La catastrofe umanitaria di Gaza è al centro della sentenza di genocidio della Corte Internazionale di Giustizia su Israele. La campagna di Israele a Gaza è diventata una guerra santa per espiare il disimpegno.

Come se Israele non fosse stato colto di sorpresa e non fosse stato attaccato da un esercito assediato e stracciato mentre il suo stesso esercito era assente, la sua potenza militare si è rivelata inaffidabile. Israele era in lutto e in ansia come dopo la guerra dello Yom Kippur, ma senza alcun segno di voler cambiare idea”.

E qui si rivela la “psicologia della nazione” plasmata dalla destra più oltranzista e messianica, oggi al potere. Riflette Levy: “L’argomentazione secondo cui continuare a vivere di spada porterebbe Israele solo alla distruzione è considerata un’eresia. I danni della guerra del 7 ottobre 2023 sono quindi peggiori di quelli della guerra del 6 ottobre 1973. Dopo quest’ultima, ci fu una correzione; questa volta, non c’è traccia di una correzione.

Ci si poteva aspettare una risposta diversa. L’8 ottobre Haaretz ha pubblicato ciò che avevo scritto il pomeriggio precedente, prima che venisse rivelata la portata delle atrocità: “L’arroganza israeliana è alla base di tutto questo. Pensavamo di poter fare qualsiasi cosa e di non essere mai penalizzati per questo.

… Ci fermeremo, uccideremo, abuseremo, esproprieremo, proteggeremo i coloni pogromisti, andremo in pellegrinaggio alla Tomba di Giuseppe, alla Tomba di Othniel, all’Altare di Giosuè e naturalmente al Monte del Tempio; spareremo agli innocenti, caveremo occhi e spaccheremo facce.

… Ieri Israele ha visto nelle immagini del sud ciò che non aveva mai visto prima. Veicoli militari palestinesi che pattugliavano le sue città, motociclisti che entravano nei suoi cancelli. Queste immagini devono strappare il velo dell’arroganza”.

Ora, quattro mesi dopo, Israele si comporta come se fosse dopo il 5 giugno 1967 e non dopo il 7 ottobre 2023. I discorsi sono arroganti. I generali blaterano negli studi televisivi: colpiremo qui, conquisteremo là, sposteremo le forze da Beirut a Teheran, includendo la rotta di Filadelfia e lo Yemen, mentre soldati e coloni si scatenano in Cisgiordania.

La discussione sui media si muove tra le convulsioni dell’esercito e uno sciropposo commercio di sentimenti nazionali. Una guerra inutile viene rappresentata sotto una luce diversa: una luce fioca di successi immaginari. Non c’è serata senza elogiare il glorioso esercito, la 162ª Divisione e la 401ª Brigata di combattimento, come se non fosse lo stesso esercito del 7 ottobre, come se stesse portando Israele in un posto migliore.

Nessuno esprime un’opinione diversa, scettica e sovversiva. Solo lusinghe sdolcinate dell’esercito, per la guerra, per il popolo di Israele, per Israele per sempre, per tutti. La maggior parte dei media israeliani ha tradito la propria missione e la propria professionalità a favore della negazione, dell’insabbiamento e dell’arruolamento al servizio della propaganda”.

“C’è una vergognosa assenza di notizie – argomenta Levy – su ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza – le rovine e i morti, i feriti, gli storpi, gli affamati e gli sfollati – accompagnata da un’arroganza che ha preso il sopravvento sulla discussione e sulla vita nazionale. Nel Centro Congressi Internazionale di Gerusalemme, stiamo costruendo insediamenti a Gaza. A Jenin, ci travestiamo da squadre mediche, in una grave violazione del diritto internazionale, tra gli applausi. A Gaza, stiamo distruggendo tutto come se non ci fosse un domani.

Nelle capitali di tutto il mondo stiamo conducendo una campagna per disinnescare l’Unrwa e all’Aia stiamo cercando di ignorare la Corte Internazionale di Giustizia. Non c’è da nessuna parte umiltà, modestia, pensiero diverso, pensiero di un nuovo percorso o ascolto del mondo, che è così critico ora. Continuare a mentire consapevolmente a noi stessi, continuare a credere che possiamo vivere di spada per sempre, che siamo sempre i più giusti, i più forti, più di tutti gli altri, più del mondo intero. Questo non sarebbe così terribile se non fosse per la consapevolezza che porterà al prossimo disastro”.

4 Febbraio 2024

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