La vergogna dei Cpr
Carcere senza reato, la follia del governo Prodi
Da oltre 25 anni queste “galere etniche”, prolungamento di uno Stato penale diffuso, uccidono – almeno 40 le vittime – distruggono le persone, portano all’autolesionismo, alla rivolta, a subire di conseguenza pestaggi e condanne.
Editoriali - di Stefano Galieni
La “morte mediante suicidio” del giovane guineano Ousmane Sylla, 22 anni, nel Centro Permanente per i Rimpatri, è solo l’ultimo di una catena mai interrotta che prosegue da quando, nel 1998, un governo di centro sinistra introdusse in Italia la detenzione amministrativa, ovvero la possibilità di essere privati della libertà personale, non in virtù di un reato, ma a causa di un decreto di espulsione non rispettato, dell’assenza di un titolo per rimanere sul territorio nazionale.
Da oltre 25 anni queste “galere etniche”, prolungamento di uno Stato penale diffuso, uccidono – almeno 40 le vittime – distruggono le persone, portano all’autolesionismo, alla rivolta, a subire di conseguenza pestaggi e condanne.
Ousmane veniva da un altro di questi inferni per vivi, quello di Contrada Milo a Trapani, da cui era stato trasferito dopo l’ennesima rivolta. Chi ci ha messo piede in questi Centri, che negli anni hanno cambiato denominazione rimanendo luoghi di violazione di ogni diritto, e lo ha fatto con un minimo di onestà intellettuale, porta con se un senso di sporcizia, la vergogna di sentirsi, anche se oppositore, complice di tale ignominia quotidiana.
Dal settembre 2023, il governo ha portato a 18 mesi il tempo massimo di trattenimento. Un tempo infinito, in gabbie dove ogni residuo di speranza è destinato a sparire, dove si è sospesi fra il rimpatrio nel Paese da cui si è fuggiti e la “liberazione” per tornare nel limbo dell’irregolarità, senza diritto ad una vita. Le continue sommosse, che un tempo venivano seguite come segnale del malessere di un sistema già fallimentare, ora avvengono nel silenzio.
Ne accadono a Macomer come a Gradisca D’Isonzo, a Trapani come a Milano, ma restano nel buio. Ci vuole il morto per riaprire uno squarcio, o l’inchiesta per la gestione dissennata su cui il Viminale chiude entrambi gli occhi e qualcuno lucra senza ritegno. Il progetto secondo cui ne occorre almeno uno in ogni regione nasce nel centro sinistra, è fatto proprio dal governo attuale che rilancia, con la delocalizzazione della detenzione in Albania.
Intanto restano le gabbie dello zoo di Ponte Galeria, quelle di Palazzo San Gervasio, dei 9 Centri ancora aperti in cui si distruggono vite per propagandare sicurezza. Centri che uccidono in nome di una guerra non dichiarata a chi reclama solo di vivere, che non possono essere migliorati ma vanno semplicemente chiusi.
*Resp nazionale immigrazione PRC-S.E.