L'incontro della Fgci
Perché la Fgci non c’è più, storia delle battaglie dei giovani comunisti
Hanno tenuto duro negli anni ‘70. Sono stati dalla parte giusta della storia e difeso la sinistra. Anche per lasciare a noi un testimone da trasportare nel futuro
Editoriali - di Nicola Zingaretti
Firenze ospita “Allosanfan”, un incontro dei ragazzi e delle ragazze della Fgci degli anni ‘70 e ‘80. Un’occasione per riflettere su cosa ci è accaduto, per capire come siamo cambiati noi e come è cambiato il mondo attorno a noi. Dunque, non solo ricordi.
Anzi, la speranza è che dall’incontro scaturiscano, soprattutto, idee e punti di vista sull’oggi e sul domani. Della generazione prima di me ho un bel ricordo. Hanno tenuto duro negli anni ‘70.
Sono stati dalla parte giusta della storia e difeso la sinistra. Anche per lasciare a noi un testimone da trasportare nel futuro, non erano certo stati pigri.
Avevano intuito che per difendere i nostri valori occorreva cambiare tutto e ci hanno lasciato in eredità una bella idea della politica come valori e servizio. Nella “Nuova Fgci” con Pietro Folena e un nuovo gruppo dirigente, l’identità dei giovani comunisti italiani accanto alla contraddizione “capitale lavoro” dava piena dignità ad altri percorsi di partecipazione, costruendo nuove forme di militanza.
Quindi organizzavamo la “Marcia per il lavoro”, ma Fgci era anche la scelta pacifista, grazie a Berlinguer, Pio La Torre e il movimento contro i missili a Comiso.
Scoprivamo l’ambientalismo grazie a donne come la laburista norvegese Gro Harlem Brutland e facevamo i picchetti alle 5 di mattina per non fare entrare gli operai che costruivano le centrali nucleari a Montalto di Castro.
Le assemblee all’università per ascoltare due che certo comunisti non erano, ma ci piacevano perché parlavano della rivoluzione verde: Gianni Mattioli e Massimo Scalia. Credevamo nei 2 popoli e 2 Stati, per questo amavamo Itzhak Rabin e Simon Peres, ed eravamo schierati con i ragazzi dell’Intifada palestinese.
Non avemmo problemi a raccogliere firme contro l’invasione dell’Urss dell’Afganistan e ad aprire circoli della Fgci romana dedicati a un vivo e vegeto Woody Allen, che se lo avesse saputo avrebbe fatto gli scongiuri.
Ascoltavamo le lezioni di femminismo di Livia Turco che indicava la rivoluzionaria forza delle donne per cambiare tutto e le litigate tra Adriana Cavarero e Massimo Cacciari sul pensiero della differenza.
Don Luigi Ciotti ci chiamava a “liberare” l’Italia dalle mafie e ci parlava di creare un’associazione di nomi e numeri contro le mafie. L’identità era batterci con la Lega degli Studenti per cambiare la scuola e l’Università, già questo era “essere” giovani comunisti italiani. Dai campeggi alle aule per riproporre un’identità fatta di “idealità e concretezza” e denunciare il “coraggio di essere giovani”.
La Fgci era anche Tracy Chapman di “Talking about revolution”, fare tardi, fi no a notte, a parlare con Rocco Buttiglione nel nostro festival su Pier Paolo Pasolini.
Andare a Mosca al festival mondiale della gioventù comunista, protestare nella sala dei sindacati e poi entrare nella International Union of Socialist Youth, che poi avrei addirittura guidato come primo Presidente che proveniva da tutta un’altra storia.
Era essere di una parte e avere un’identità anche fare i seminari a Zocca e fare tardi al pub nella speranza di incontrare Vasco Rossi. E poi fare il servizio d’ordine sotto il palco al Pincio per la manifestazione sul voto dei giovani al Pci, con Enrico Berlinguer e Roberto Benigni che decide di prenderlo in braccio.
Tante storie, belle storie, e un potente filo: per cambiare il mondo serve il “noi” e mai l’”io”. Poi qualcosa, dopo, è successo, ma questo, forse, è proprio il tema dell’incontro.
Certo, comunque, se il nostro Ministro della Cultura mi chiedesse per rispondere alla domanda “lei è un antifascista?” ma “ lei è un anticomunista?” risponderei senza esitazione: lei non si permetta, sono un democratico orgoglioso di essere stato un giovane comunista italiano. Perché in Italia i fascisti la libertà l’hanno tolta, i comunisti ristabilita e difesa. Senza nostalgie, è una storia che vale la pena rivendicare e raccontare anche pensando al nostro futuro.