L’infinita battaglia tra Matteo Salvini e la magistratura italiana fa segnare un nuovo “punto” a favore di quest’ultima. La Corte d’Appello di Roma, come reso noto dall’associazione Famiglie Arcobaleno, ha infatti smentito il decreto del Ministero dell’Interno del 2019, guidato all’epoca dal leader della Lega e attuale ministro dei Trasporti e Infrastrutture, condannando il Viminale ad applicare la dicitura ‘genitori‘ o altra dicitura che corrisponda al genere del genitore sulle carte d’identità elettroniche rilasciate a persone minorenni.
I giudici capitolini, sottolineano dall’associazione, “hanno ribadito un concetto molto semplice: sulla carta d’identità di un bambino/bambina non possono essere indicati dati personali diversi da quelli che risultano nei registri dello stato civile”.
Il decreto Salvini contro il “genitore” sulla carta d’identità
La vicenda ha origine nel 2019 quando il Ministero dell’Interno guidato da Salvini, all’epoca del governo giallo-verde con Lega e Movimento 5 Stelle (e Giuseppe Conte a Palazzo Chigi), un decreto firmato da Salvini impone al posto di ‘genitori’ la dicitura madre/padre sui documenti. “Una coppia di mamme si è rivolta – spiega l’associazione – prima al Tar del Lazio e poi al Tribunale di Roma esigendo l’emissione di un documento d’identità che rispecchi la reale composizione della loro famiglia“.
Già in primo grado il Tribunale aveva accolto la richiesta delle mamme, dichiarando di fatto illegittimo il decreto in quanto il documento emesso “integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico“.
Le reazioni
Non si è fatta attendere la reazione dello stesso Matteo Salvini, che sui social si trasforma in giurista e critica la decisione della Corte d’Appello di applicare la dicitura ‘genitore’ sulla carta d’identità.
“Decisione sbagliata. Ognuno deve sempre essere libero di fare quello che vuole con la propria vita sentimentale, ma certificare l’idea che le parole ‘mamma’ e ‘papà’ vengano cancellate per legge è assurdo e riprovevole. Questo non è progresso“, scrive il vicepremier.
Di tutt’altro avviso Laura Boldrini, deputata del Partito Democratico e presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel Mondo, che plaude all’interno della Corte d’Appello di Roma che “hanno ribadito una cosa semplice ma importante, che in un paese civile dovrebbe essere ovvia: se in una famiglia ci sono due mamme, sulla carta d’identità dei figli va scritto “madre” per entrambe, se ci sono due papà, andrà scritto “padre” per tutti e due, se ci sono una mamma e un papà, si scriverà “madre” e “padre”. O si usi in ogni circostanza “genitore”.
Per Boldrini “il decreto voluto da Salvini quando era ministro dell’Interno non può cambiare la realtà delle famiglie italiane, non può cambiare il genere delle persone e non può discriminare i bambini perché figli di coppie dello stesso sesso. Questa è “politica della discriminazione“: è perseguitare le cittadine e i cittadini rendendo loro la vita impossibile”.