“L’apertura di un’inchiesta per omicidio colposo potrebbe essere stato un atto dovuto volto a motivare la disposizione dell’autopsia“, lo ha spiegato a l’Unità Maria Mancanella Garante per i diritti dei detenuti della città di Lecce. Il riferimento è all’ennesimo suicidio consumatosi in un carcere italiano. Il triste episodio è avvenuto due giorni fa proprio nella casa circondariale pugliese di Borgo San Nicola. Si è trattato di un 45enne originario di Ostuni, trovato senza vita nella sua cella. Inutili i tentativi fatti dai compagni detenuti e dagli agenti della Polizia penitenziaria intervenuti per cercare di salvargli la vita.
Chi è il detenuto che si è suicidato nel carcere di Lecce
“Da quello che ho saputo – ha affermato la dottoressa Mancanella – il detenuto in questione era una persona non affetta da disturbi psichiatrici ma che necessitava di un supporto in questo senso. Era seguito da specialisti per alcuni suoi disagi. I parenti si sono mostrati stupiti dall’accaduto. Il 45enne era una persona che manteneva senza problemi i contatti con la sua famiglia. Era detenuto da tempo e gli restavano diversi anni da scontare“. Il detenuto è stata la 20esima persona che si è tolta la vita dall’inizio dell’anno in un penitenziario italiano. Questi i numeri di una tragedia che continua senza fine, nel silenzio e l’indifferenza.
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Suicidi in carcere: una mattanza di Stato
“Il 45enne – ha concluso il Garante – È stata l’ennesima vittima della solitudine, dell’abbandono e di quella sensazione di vuoto che molti detenuti provano. Noi sappiamo bene quali sono i problemi che affliggono le nostre carceri e ne conosciamo anche le cause. Quello che manca sono le soluzioni. A Lecce, ad esempio, la situazione è seria. La struttura è vecchia e fatiscente. I detenuti sono 1.218 su una capienza regolamentare di 700. L’acqua calda e i riscaldamenti ci sono soltanto in specifici orari. Mancano agenti, educatori e personale sanitario. Dunque, il problema è sistemico“.