La morte del dissidente

Mistero sulla morte di Navalny, l’oppositore di Putin è stato ucciso?

A Natale, dopo tre settimane in cui era scomparso, l’avvocato aveva rintracciato Alexei Navalny, in una prigione dell’estremo nord est della Russia

Esteri - di Angela Nocioni - 17 Febbraio 2024

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Mistero sulla morte di Navalny, l’oppositore di Putin è stato ucciso?

Una notizia, tanto per ricordare ogni tanto di cosa si parla quando si parla del Cremlino. Il principale oppositore di Putin, Alexei Navalny, in carcere, è stato trovato morto. Notizia data dalla agenzia di Stato Novosti in queste due righe: Navalny s’è sentito male dopo una passeggiata e ha quasi immediatamente perso conoscenza.

Fonte citata: il dipartimento del Servizio Penitenziario Federale del Distretto Autonomo di Yamal-Nenets. Il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, alla richiesta dei media sulle cause della morte – le tv russe hanno detto “trombosi” – ha risposto: “I medici le stabiliranno”.

L’ultimo sospiro di sollievo era stato il giorno di Natale. Kira Yarmysh, portavoce di Alexei Navalny aveva scritto d’aver saputo per certo che il dissidente russo era in vita rinchiuso in una cella nella remota regione artica dell’estremo nord della Russia.

Dopo che per tre settimane era stato cercato invano nelle prigioni russe. Si tratta della colonia penale IK-3 di Jarp, nella regione di Yamal-Nenets. Lassù, a duemila chilometri a nord di Mosca, l’aveva incontrato il suo avvocato e aveva detto: “Sta qui e sta bene”.

Ieri, molte ore dopo la diffusione della notizia, gli avvocati di Navalny hanno detto di non avere “alcuna conferma ufficiale della sua morte”. I suoi sostenitori nel pomeriggio di ieri hanno fatto sapere di star provando a dirigersi verso la prigione.

Navalny, 47 anni, era il leader più importante dell’opposizione russa. Era stato condannato in processi farsa prima a nove anni di prigione, poi ad altri diciannove, in “colonia penale a regime rigoroso”. Per “frode”, con prove che i suoi sostenitori sostengono da sempre siano state fabbricate di sana pianta dal regime di Putin.

Lo hanno accusato di aver rubato circa 4 milioni e mezzo di euro in donazioni consegnate alle sue organizzazioni che ora sono state messe fuorilegge dal governo russo, compresa la sua fondazione anticorruzione “Piattaforma contro la corruzione” (Fbk).

Era stato arrestato quando è tornato a Mosca nel gennaio 2021, con l’accusa di aver violato la libertà vigilata durante un ricovero in Germania, dove era stato in coma dopo essere stato avvelenato.
Tre anni fa il braccio di ferro mediatico con Putin era stato durissimo, e pericoloso per il capo del Cremlino.

Alexei Navalny nel carcere di Pokrov faceva lo sciopero della fame da settimane. In quei giorni decine di migliaia di persone in tutta la Russia scesero per lui in piazza, sfidando il divieto del regime, per sostenere la richiesta del leader dell’opposizione di essere curato da specialisti e protestare contro la repressione sempre più pesante di dissidenti e giornalisti indipendenti.

Fu tale la pressione che Mosca accettò di far visitare Navalny. Un gruppo di più di 170 medici firmò una lettera indirizzata al presidente russo Vladimir Putin, esprimendo preoccupazione per la salute del prigioniero. “Le condizioni del suo arresto e l’aspetto fisico di Alexei Navalny ci causano una grande preoccupazione per la sua vita e per la sua salute”, diceva la lettera.

Il prigioniero non riceveva più medicine e godeva solo di un’ora e mezza di passeggiata fuori dalla sua cella al giorno. Quando Putin cedette alla pressione internazionale e interna sul caso, sembrava aver accettato di chiudere per una volta con uno «zero a uno» . Dopo pochi mesi dal suo arresto l’oppositore più temuto dal Cremlino era riuscito a rimanere al centro del dibattito politico senza scomparire dai notiziari russi, costringendo Putin a piegarsi.

La campagna di solidarietà internazionale per Navalny allora fu potente, non si vedeva niente del genere dai tempi di Andrei Sakharov, il fisico nato nel 1921, attivista per i diritti umani, perseguitato perché considerato un pericolo per l’allora Unione sovietica.

Un centinaio di grandi nomi del cinema – Pedro Almodóvar, Benedict Cumberbatch, Jude Law – chiesero a Putin di autorizzare le cure mediche in prigione, sostenute da un coro di capi di Stato e di Governo occidentali. L’attenzione internazionale rese difficile impedire le proteste che i sostenitori di Navalny avevano convocato in decine di città, nonostante il divieto.

Nelle principali città russe sfilarono cortei in favore di Navalny, tranne a San Pietroburgo, la città del presidente. Anche il centro di Mosca fu invaso da persone che urlavano «Putin ladro!» e «Abbasso lo zar!» fin sotto le finestre del Cremlino.

Ci si chiese allora, di fronte alla polizia che sembrava guardare altrove, se fosse un timido segnale di qualcosa in movimento anche nell’apparato repressivo del regime. O se fossero stati sindaci e governatori, tra cui il potentissimo sindaco di Mosca, a impedire la repressione violenta. Poi la guerra in Ucraina ha cambiato tutto negli equilibri anche interni di Mosca. E ieri sono arrivate le due righe della Novosti.

17 Febbraio 2024

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