La guerra Israele-Palestina
“Senza lo Stato di Palestina non ci sarà pace per gli israeliani”, intervista a Laura Boldrini
«La mozione approvata alla Camera è un successo di Schlein ed è una svolta nella posizione dell’Italia su quanto accade a Gaza. Ma su i “due stati” il governo Meloni non ha voluto fare un passo avanti che sarebbe indispensabile»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
La tragedia di Gaza, l’iniziativa dell’Italia su spinta Dem. E quella campagna contro una “testimone scomoda”. L’Unità ne parla con Laura Boldrini, già Presidente della Camera dei deputati, esponente di primo piano del Partito Democratico, Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo.
Qual è il valore politico della mozione approvata a grande maggioranza dalla Camera su Gaza?
È una vera e propria svolta nella posizione dell’Italia rispetto a quello che sta accadendo, ormai da quattro mesi, nella Striscia di Gaza. Ed è un successo della segretaria Schlein aver portato la Camera a votare per il cessate il fuoco raggiungendo un accordo con la presidente del Consiglio. Questo è innegabile.
La parte della nostra mozione che è stata approvata è chiarissima perché, tra le altre cose, impegna il governo “a sostenere ogni iniziativa volta a perseguire la liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani e a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza al fine di tutelare l’incolumità della popolazione civile, garantendo altresì la fornitura di aiuti umanitari continui, rapidi e sicuri all’interno della Striscia”. E questo schiera l’Italia dalla parte della pace.
Resta l’intransigenza del governo israeliano. Netanyahu continua a parlare di Vittoria Totale, ministri del suo governo evocano la deportazione dei gazawi.
Il governo di ultradestra di Netanyahu sembra essere sordo a qualunque richiamo e a qualsiasi voce, anche a quella degli alleati storici. L’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede ha persino attaccato il Segretario di Stato Vaticano mons. Parolin che ha giustamente parlato di carneficina a Gaza. Ma penso, anche, alla notizia importantissima delle inchieste degli Usa sui crimini di guerra dell’esercito israeliano perché non si può lasciare impunito chi ha voluto uccidere indiscriminatamente civili innocenti. È una denuncia che, a livello politico, ripetiamo da settimane: Israele aveva il diritto di difendersi dall’attacco orribile di Hamas, ma già da tempo è andato ben oltre violando il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario.
Ministri come Ben Gvir, Smotrich ed Eliyahu ma non solo loro, sono un pericolo in primis per il popolo israeliano. E Netanyahu li lascia fare mentre auspicano il lancio della bomba atomica su Gaza e distribuiscono armi ai coloni in Cisgiordania. Tel Aviv si sta isolando dalla comunità internazionale. La furia cieca che guida le decisioni di Netanyahu, con oltre 28mila morti di cui il 70 per cento donne e bambini, è sempre meno compresa, giustificata e accettata dagli altri paesi e, soprattutto, dalle opinioni pubbliche. Anche una parte della comunità ebraica italiana, con una lettera firmata da 53 suoi membri parla di “crimini di guerra inaccettabili che ci fanno inorridire”. Nessuna deportazione dei palestinesi di Gaza verso altri luoghi è pensabile e su questo bisogna essere irremovibili. Il popolo palestinese non merita un’altra Nakba. Dobbiamo impedire che Netanyahu e il suo governo provino a svuotare la Striscia di Gaza e prenderne possesso trattando oltre 2 milioni di palestinesi come fossero spazzatura.
Nella mozione del PD un punto forte era il riconoscimento dello Stato di Palestina, richiesta bocciata dal governo.
Sì, questo per noi è un punto essenziale. Ma il governo non ha voluto fare un passo avanti che, pure, sarebbe indispensabile. Continuano a dire “due popoli e due Stati”. Ma come si può parlare di “due Stati” se uno di questi non viene riconosciuto? Se non si dice chiaramente al governo israeliano che le occupazioni illegali in Cisgiordania, e con esse le violenze contro i palestinesi che vivono in quell’area, devono finire? Non ci può essere uno Stato senza continuità territoriale e la Palestina, in questo momento, non ce l’ha. Dunque “due popoli e due Stati” diventa un ritornello stanco e vuoto se non si arriva a promuovere convintamente il riconoscimento dello Stato di Palestina che noi continueremo a chiedere anche in sede europea contando sulla collaborazione di partner importanti come la Spagna di Sanchez che da tempo si è detto favorevole.
Chiunque racconti lo stato di apartheid che vige in Cisgiordania o documenta i crimini di guerra commessi a Gaza, viene subito tacciato di “antisemitismo” e considerata da Israele persona non gradita. È il caso di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati.
In Cisgiordania, Israele, che è Paese occupante, applica la legge militare solo nei confronti dei palestinesi e non verso i coloni israeliani. Così come molteplici sono i limiti imposti sulle proprietà dei palestinesi sia in Cisgiordania sia a Gerusalemme Est. I coloni e l’esercito di Tel Aviv compiono regolarmente espropri di terreni e case che, in alcune aree, vengono pure rase al suolo lasciando le persone senza un tetto sulla testa. Per non parlare della detenzione amministrativa applicata in modo estensivo ai palestinesi, anche minorenni. Un regime carcerario che può essere rinnovato senza limiti e senza che le persone detenute sappiano la ragione per cui sono in prigione, con evidenti lesioni della libertà individuale e del diritto alla difesa. Un innegabile doppio standard.
Chi, come Albanese, ha il compito di occuparsi della violazione dei diritti umani nei territori occupati, deve chiamare le cose con il loro nome. Così come hanno fatto e fanno molti accademici e associazioni di tutto il mondo, anche israeliane, organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch e come raccontano i tanti reportage dei giornalisti internazionali che si recano in quei territori. Chi contesta il termine apartheid ne proponga un altro, se c’è, che definisca questo regime di separazione e discriminazione. E poi c’è dell’altro…
Vale a dire?
Bisogna precisare, anche, che Albanese non è l’unica che è stata attaccata dalle autorità israeliane e a cui sia stato negato l’ingresso a Gaza e nei territori occupati, come hanno riportato alcuni organi di stampa. Lo stesso trattamento è stato riservato anche ai suoi predecessori che nel tempo hanno ricoperto quel ruolo, fin dal 2008 quando l’allora relatore venne addirittura arrestato. E, dal 7 ottobre, a diversi alti funzionari dell’Onu è stato negato l’ingresso a Gaza. Per tacere degli attacchi del governo di Netanyahu nei confronti del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres che ha denunciato la catastrofe in corso nella Striscia e l’uso dei bombardamenti indiscriminati sulla popolazione e i limiti a cui sono sottoposti gli aiuti umanitari. Francesca Abanese ha una lunga esperienza nel campo della tutela dei diritti umani, ha scritto libri e pubblicazioni accademiche. È una figura indipendente che sta svolgendo un ruolo delicatissimo in un momento molto difficile e merita rispetto. In questi anni da relatrice speciale ha condotto indagini anche sui crimini commessi da Hamas e dalle autorità palestinesi. Non era mai stato fatto prima.
Non è screditando il sistema delle Nazioni Unite e chi lo rappresenta con strumentali accuse di antisemitismo che il governo israeliano può nascondere le proprie responsabilità.
Le parole hanno un peso fortissimo. E spesso svelano verità sgradite al pensiero unico e alla stampa mainstream. Una di queste è “genocidio”. Come altro definire ciò che sta accadendo a Gaza?
Se, dal punto di vista giudiziario, quello che sta accadendo a Gaza è “genocidio” lo stabilirà la Corte internazionale di giustizia che su questo è stata chiamata a esprimersi e che ha già respinto la richiesta di archiviazione avanzata da Israele. E gli altri Stati hanno il dovere di collaborare, qualora fosse richiesto, con la Corte e di rispettarne qualsiasi decisione. Tutti gli Stati, anche Israele. La Corte, però, ha già ammonito Israele chiedendo di evitare qualsiasi atto genocidario. Quello che è certo è che a Gaza si sta consumando un massacro. Una punizione collettiva. L’ultima decisione di attaccare Rafah è gravissima ed è sintomatica della furia di Netanyahu. A Rafah sono stipate 1 milione e 700mila persone sfollate dal nord e dal centro della Striscia. E a loro ora viene chiesto di evacuare ulteriormente. Dove? Dove dovrebbero andare? Il resto della Striscia è quasi del tutto distrutto. E l’Egitto ha ulteriormente rafforzato la chiusura del confine proprio a Rafah, schierando mezzi blindati e fortificando le barriere. Gaza è sigillata, senza via di fuga, una trappola mortale. Un’offensiva su Rafah sarebbe un’ecatombe. Ma forse dovremmo dire “sarà”, dato che i bombardamenti sono già iniziati i morti sono già centinaia.
Hamas non è il popolo palestinese, ma ne è comunque parte importante, piaccia o no. Come è un fatto che prima del 7 ottobre la questione palestinese era sparita dall’agenda internazionale e dai media. Esisti solo se terrorizzi?
Pensare che il popolo palestinese coincida con Hamas è un errore grave, come lo sarebbe pensare che il popolo israeliano è identificabile con il governo di Netanyahu. Non è così.
È certamente vero che Hamas ha consenso nella Striscia e ora ne ha di più anche in Cisgiordania. È successo perché l’Autorità Nazionale Palestinese, l’unico interlocutore politico che può intraprendere un percorso di pace, si è indebolita ed è stata indebolita. Ed è stato fatto scientemente. La crescita di Hamas è anche il frutto amarissimo delle politiche scellerate di Netanyahu e dei suoi governi che, attraverso una continua colonizzazione della Cisgiordania, hanno volutamente screditato l’Anp e fatto sì che Hamas acquisisse sempre più seguito. Mentre tutto questo accadeva e la legalità internazionale veniva costantemente violata, il mondo -Usa, UE e Paesi Arabi- era latitante e accettava la narrazione di Netanyahu secondo cui la situazione era sotto controllo e Israele era in grado di “manage the conflict”. Un grave errore di cui ora paghiamo le conseguenze. Ma le hanno pagate in primis le 1200 vittime del 7 ottobre, gli ostaggi e le pagano i civili a Gaza. Il popolo palestinese e il popolo israeliano hanno bisogno di leader che credano nella pace, nella convivenza e nel riconoscimento reciproco. Senza lo Stato di Palestina non ci saranno pace e sicurezza né per i palestinesi né per gli israeliani.