Il 30 gennaio 2024, l’Arabia Saudita ha tagliato la testa ad Awn Hassan Abu Abdullah, ha reso noto la European Saudi Organization for Human Rights (ESOHR). Nulla di nuovo sotto il sole che batte e acceca la terra dei Saud dove la dea bendata con la spada sguainata in una mano e la bilancia spaiata nell’altra non è una icona metaforica della giustizia.
È letteralmente e perfettamente tale: è cieca e misteriosa, mozza le teste con la spada, è sbilanciata tra il bene e il male. Come spesso accade, l’esecuzione si è svolta in segreto, la famiglia non è stata avvisata e non ha potuto dirgli addio. Il boia ha sguainato la spada e con un colpo gli ha staccato la testa. Giustizia è fatta. Allah è grande.
La stessa dichiarazione del Ministero degli Interni, a ben vedere, svela che tra il delitto di Abu Abdullah e il suo castigo non v’era alcuna proporzione. La gigantesca e roboante accusa di “essersi unito a una cellula terroristica che cercava di minare la sicurezza del Regno, destabilizzare la società, disturbare la stabilità dello Stato, prendere di mira il personale di sicurezza, impegnarsi nella produzione di esplosivi e finanziare il terrorismo”, conferma che Abu Abdullah non era colpevole di nulla ed evidenzia l’uso di imputazioni tanto gravi quanto vaghe che non indicano esattamente il presunto crimine, neanche un omicidio intenzionale che è il minimo indispensabile per una condanna capitale.
Il suo arresto, il processo e l’esecuzione sono probabilmente legati alle sue attività legittime, come esprimere libere opinioni e partecipare a riunioni, sollevare preoccupazioni sulle pratiche di tortura, maltrattamenti e processi ingiusti in Arabia Saudita. Il verdetto era stato emesso dal Tribunale penale specializzato per il terrorismo, lo strumento di repressione del Regno noto per aver preso di mira e punito attivisti e difensori dei diritti umani.
L’esecuzione di Abu Abdullah porta a 7 il numero totale di esecuzioni dall’inizio del 2024, secondo l’ESOHR che sta attualmente monitorando i casi di altre 65 persone che rischiano la decapitazione, tra cui 9 minorenni, di cui almeno 2 – Abdullah Alderazi e Jalal Al-Labbad – con sentenze definitive approvate dalla Corte Suprema, il che significa che l’esecuzione potrebbe avvenire in qualsiasi momento.
Informazioni dall’interno della prigione investigativa generale di Dammam sono segnali allarmanti di esecuzioni imminenti. Questa prigione ospita la maggior parte dei condannati a morte, condannati per accuse non considerate tra le più gravi. Le informazioni hanno riportato strane attività che preludono alla loro esecuzione fra pochi giorni o poche settimane.
Procedure come foto del profilo del volto dei condannati, esami medici, rilevamento delle impronte digitali e firma di documenti. Il 2023 è stato un anno orribile per il diritto alla vita e la vita del diritto nel Regno saudita. La spada del boia si è abbattuta senza pietà su 172 teste.
Il numero di esecuzioni ha addirittura superato il record del 2022, quando la spada aveva fatto strage di esseri umani in nome di Dio a un ritmo che sembrava irripetibile: 147 teste decollate, di cui 81 in un solo giorno.
Il Ministro degli interni ha così attribuito le 172 teste mozzate nel 2023: 66 erano di condannati per reati di omicidio per i quali è previsto il Qisas, la “restituzione dello stesso tipo”, una pena ordinata da Dio, inesorabile, inappellabile; altre 54 erano di condannati per offese contro lo Stato o la società, per i quali le pene, dette Ta’zir, non sono volute da Dio ma dagli uomini, discrezionali e capricciose come la volontà del Re e dei suoi giudici; altre 50 erano di condannati a pene Hadd, una parola che vuol dire “limite, confine”, che i giudici dovrebbero rispettare ma che spesso superano con le loro sentenze eccessive e sconfinate emesse, ad esempio, per “reati” come fornicazione, calunnia, ubriachezza, furto e brigantaggio; le ultime 2 teste erano di condannati per reati militari, raramente puniti in un sistema islamico, se non fossimo in Arabia Saudita.
Il rinascimento saudita del principe ereditario Mohammad bin Salman, alla prova dei fatti, ha tradito la promessa originaria di un cambiamento radicale nel Regno, si è ridotto a mera retorica di discorsi ufficiali in occasione di incontri internazionali, promozione e propaganda di un’immagine irrealistica dei diritti umani in Arabia Saudita.
Il sogno rinascimentale di umanesimo, di una nuova era di luce e civiltà di pensiero, nel Regno dei Saud, si è infranto al cospetto di una realtà medievale, cupa e anacronistica, quella della terribilità della pena capitale tramite decapitazione, della sua applicazione a reati non violenti e del suo uso politico nei confronti anche di liberi pensatori pacifici e miti obiettori di coscienza.