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Chi era Gianni Borgna, mitico assessore alla cultura che impose Pasolini e Sanremo al Pci

Chi era Gianni Borgna, mitico assessore alla cultura che impose Pasolini e Sanremo al Pci

Nel 2014 con Castelvecchi aveva anche pubblicato un pamphlet, Senza sinistra, consapevolezza di un’assenza, certezza di quanto fossero ormai lontani i tempi del “grande balzo in avanti”, immaginare il palco di piazza San Giovanni nei giorni della vittoria elettorale che avrebbe consentito la nascita delle “Giunte rosse”.

Berlinguer, Longo, Pajetta, Petroselli ad applaudire Severino Gazzelloni che intona “La primavera” di Vivaldi con il suo flauto d’oro, accanto a lui Gian Maria Volontè e Paolo Pietrangeli… Il resto sarà forse nient’altro che gestione dell’esistente ordinario, oltre ogni aura.

E qui torna in mente una nostra conversazione in via Fratelli Ruspoli, sotto casa Bellonci, il salotto del Premio Strega, Gianni in motorino, le sue perplessità rispetto a un sistema spettacolare della cultura che alla fine ha mostrato tutti i suoi limiti.

Gianni Borgna manca alla città da dieci anni. Riposa adesso al Cimitero Acattolico (Testaccio, la Piramide di Caio Cestio, Porta San Paolo: dove il 10 settembre del 1943 inizia la Resistenza armata al nazi-fascismo), poco lontano dall’urna di Gramsci, le tombe di Miriam Mafai e del poeta Dario Bellezza.

Sul cippo le date (1947-2014), il profilo di un gatto inciso a ricordo di quest’altra sua passione, così per “Gianni Borgna, intellettuale, uomo politico”, infine un distico che ne riassume il garbo tranquillo: “Combattete per i vostri diritti ma fatelo con grazia”.

Gianni Borgna mi è tornato in mente nei giorni scorsi, quasi un dovere citarlo durante il Festival di Sanremo. Dell’argomento conosceva ogni dettaglio; Gianni, storico e storiografo dell’avventura canora nazionale.

Proprio del Festival della città dei fiori diceva che andasse osservato come il barometro, forse anche il sismografo dello stato delle cose politiche, perfino istituzionali, del Belpaese; un’appendice del discorso sul Palazzo, avrebbe detto Pier Paolo Pasolini, amico e compagno di strada di Gianni.

Pasolini che proprio Borgna porterà a dialogare con i ragazzi comunisti della Fgci degli anni Settanta, in cima al Pincio. Raccontando ancora Pasolini, Gianni usava queste parole pronunciate dal poeta l’8 giugno 1975, per motivare il suo voto al Pci.

L’incontro era stato appunto promosso dai giovani comunisti romani al cinema Jolly, a due passi dalla via Tiburtina: “Voto comunista perché ricordo la primavera del 1945, e poi anche quella del 1946 e del 1947. Voto comunista perché ricordo la primavera del 1965, e anche quella del 1966 e del 1967. Voto comunista perché, nel momento del voto, come in quello della lotta, non voglio ricordare altro”.

Parlando proprio di canzoni in gara, sosteneva appunto Gianni Borgna che, osservando le tendenze e soprattutto il vincitore finale, si potessero intuire gli slittamenti esatti del gusto e ancora di più il senso di marcia microstorico nazionale.

Fra molto altro, e questo non va affatto dimenticato, Borgna, in nome del suo lavoro di organizzatore culturale, meriterebbe il titolo di santo martire per aver generosamente subìto, da assessore alla cultura di Roma, lì in piazza Campitelli, Laura Betti, incontenibile “moglie” di Pasolini. Le sue pretese, le sue richieste, le sue bizze da diva dei telefoni (non più) bianchi “di sinistra”, tra Scola e Bertolucci.

Tornando alle canzoni, si sappia che Gianni era capace di restituire con perfetta memoria perfino la discografia di Vasso Ovale e perfino di Giuliana Valci. Poi c’è il caso della sua amicizia con Gino Paoli: si deve proprio a Gianni Borgna se, dopo decenni di silenzio, Paoli sia tornato a cantare in pubblico; ricordare i palchi delle feste de l’Unità in questo caso è d’obbligo. Rammento proprio Paoli che si esibisce in un piccolo parco, tra Appia Antica e Appia Pignatelli, non lontano da Porta San Sebastiano, dov’era la villa di Marcello Mastroianni.

Prima di raccontarlo assessore alla Cultura, mostriamolo accanto a Pasolini. Si deve infatti proprio a Gianni il lavoro di “ufficiale di collegamento” tra lo scrittore e i giovani comunisti della Fgci, con Ingrao che, commentando le riflessioni pubbliche di Pasolini, diceva loro “A che serve tutto questo pessimismo?”.

Sarà proprio Gianni a far sì che le bandiere rosse della Fgci romana fossero presenti a Campo de’ Fiori ai funerali dello scrittore, e Borgna sul palco, accanto a Moravia e Aldo Tortorella, per l’orazione funebre.

Verrà ricordato per essere estraneo a ogni forma di conformismo, e raccontando ancora di Pasolini ha detto: “Noi giovani lo sostenevamo non solo perché eravamo affascinati dal suo carisma e dalla sua intelligenza, ma anche perché condividevamo il suo pessimismo sullo stato del nostro Paese e in particolare sulla condizione dei giovani. Il partito, appagato dalla vittoria nel referendum sul divorzio e dal trend positivo che conosceva in quel momento, pensava che l’Italia stesse svoltando a sinistra e fosse pronta a grandi cambiamenti. Noi no, anche perché percepivamo che i giovani per primi stavano vivendo una profonda crisi di ideali e di prospettive. Pasolini comprese che noi non lo cercavamo per ragioni strumentali. Al contrario, il nostro era un segno di affetto e di stima. E cominciò a stabilire con noi un dialogo fecondo, che si sarebbe concluso solo qualche mese dopo, quando, purtroppo, fu assassinato”. Dieci già anni di assenza.