I sondaggi lasciano aperto un barlume di speranza: tra l’esperienza non brillantissima, per usare un eufemismo, della scorsa legislatura, il travagliatissimo cambio di cavallo in dirittura d’arrivo a destra, l’ira palese del Partito sardo d’azione per la detronizzazione del presidente uscente Solinas, il centrosinistra non è fuori gioco come sembrava alla vigilia.
La possibilità di una insperata vittoria fa palpitare i cuori al Nazareno. È evidente che sarebbe molto più della vittoria insperata in una regione di media importanza: significherebbe dimostrare che l’onda di destra si è quanto meno affievolita, non solo nell’isola l’elettorato del centrosinistra sarebbe galvanizzato e motivato, le divisioni nella maggioranza, già profonde, diventerebbero un baratro.
Conte, per il quale il successo con una sua candidata sarebbe doppio, annusa l’aria e rilancia, propone, con la formula ipocrita della “disponibilità” una chiusura di campagna elettorale a braccetto, lui ed Elly.
La segretaria del Pd si affretta a notificare la stessa “disponibilità”. A frenare gli impeti ci pensa la succitata candidata, Alessandra Todde: “Il sostegno dei leader non è mancato e li ringrazio per questo. Ma abbiamo deciso di chiudere, il 23 a Cagliari, tra la nostra gente e con i cittadini sardi”.
È una scelta astuta. I leader del centrodestra, mercoledì, ci saranno tutti. La candidata del centrosinistra non vuol combattere su quel terreno ma rovesciarlo: la Regione, il territorio che ha scelto in autonomia la candidata, contro i leader in arrivo da Roma, dopo aver imposto il candidato del centrodestra.
Per Schlein e Conte il “no, grazie” della Todde può essere spiacevole ma a fronte della possibilità di vincere la prima prova in una giostra pericolosa che si concluderà solo con le Regionali (e con molte comunali) l’anno prossimo, è un problema minuscolo. Comunque si vinca, l’esito della Sardegna sarà spingere i due leader ad accelerare un’alleanza che, nonostante la guerriglia dei 5S, è nell’ordine delle cose.
La morte di Navalny dà una mano. Di fronte alla brutalità di un’esecuzione, che resterebbe tale anche qualora il dissidente russo fosse stato vittima di una detenzione feroce e non di un omicidio propriamente detto, persino la divaricazione più profonda tra i due partiti, l’Ucraina, si stempera un po’ e non solo perché ieri erano anche i 5S, come tutti, alla manifestazione convocata da Calenda.
In una lunga intervista, ieri, Conte ha dettato le condizioni, che però sono tanto vaghe quanto non inaccettabili: “Chiedo solo un progetto serio e autentico, non un cartello elettorale… Bisogna arrivare a una sintesi là dove partiamo da posizioni più distanti”. Cioè, in concreto, sulla politica estera.
Su quel fronte, però, Elly ha già fatto passi prudenti ma chiari per avvicinare le posizioni. Uno schieramento contro l’invio delle armi all’Ucraina è fuori dal novero delle possibilità reali, perché in quel caso un Pd già teso esploderebbe.
Ma una posizione certo non contraria ma molto più prudente di quella che avrebbe preso Letta sul riarmo europeo è plausibile. Il riarmo costituisce di fatto la politica di una Ursula Von der Leyen oggi di fatto candidata più della destra Ppe-Conservatori che non della maggioranza che in Europa porta il suo nome e anche questo può concedere alla segretaria del Pd qualche margine di manovra in più per avvicinare le posizioni del suo partito a quelle del M5s. Senza sposarle ma almeno quel tanto che renda l’alleanza non incompatibile e soprattutto credibile.
Ma resta una strada accidentata, sulla quale pesano due incognite decisive. Una sono le elezioni europee: un esito deludente per il Pd non costerebbe subito la segreteria a Elly ma la porterebbe sul bilico e le resistenze a una politica considerata già da una parte del Pd troppo appiattita sulla radicalità di Conte si impennerebbero e lo stesso Conte, se non troppo staccato, si convincerebbe di poter ambire lui alla guida dell’eventuale coalizione.
L’altra sono proprio le elezioni in Sardegna: le Regionali del 2025 sono per il Pd ad altissimo rischio. Sono sotto scacco non solo le due regioni del sud che governa, Campania e Puglia, ma addirittura le roccaforti storiche, l’Emilia e la Toscana.
Arrivare a quella prova con una vittoria, oltretutto sino a ieri considerata quasi impossibile, sarebbe una cosa. Arrivarci dopo la sconfitta della candidata simbolo dell’alleanza con il M5S sarebbe tutt’altra cosa. Sarebbe l’opposto.