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Raduno Fgci di Firenze, le intuizioni di una sinistra che aveva annusato la deriva liberista

Raduno Fgci di Firenze, le intuizioni di una sinistra che aveva annusato la deriva liberista

Leggendo i vari interventi della reunion del 10 febbraio organizzata a Firenze dagli ex ragazzi della Fgci si provano nello stesso tempo due impressioni: una più legata al “come eravamo”, una sorta di rivisitazione di quegli anni – i Settanta e gli Ottanta –, non priva di atmosfere amarcord; l’altra caratterizzata dalla proiezione nel futuro, quasi profetica.

Una rivisitazione di quelle idee e di quelle lotte volta, tuttavia, a comprendere la realtà attuale, a decifrarla, a inserirsi nelle sue pieghe, nelle sue crepe, nei suoi paradossi al fine di cambiarla. Analisi, valutazioni, riflessioni espressione, come era già nella Fgci, di una sinistra vera, ricca di spinte e di fermenti, creativa, plurale, non sempre in grado – mi è già capitato di evidenziarlo – di tradursi in una linea politica precisa.

Un filo rosso le accomuna, però: la tensione critica con il capitalismo, con l’esistente, come preferisco dire io. Un grappolo di idee-forza – pace, questione femminile, ambiente, diritti dei singoli e dei popoli, come quello palestinese, e altre – che mostra un volto attuale, incredibilmente attuale, pur in un’epoca contrassegnata da mutamenti tecnoscientifici e sociali velocissimi. Non siamo più gli stessi noi, non è più lo stesso il mondo intorno a noi, eppure quelle idee, quei principi, quelle parole continuano a interpellarci. Anzi: ci interpellano ora più che mai.

E, dal canto nostro, dovremmo a nostra volta interrogare quelle idee e quei principi, approfondirne il senso, le possibili declinazioni nei vari contesti. E dovremmo provare a coniugarli con le elaborazioni successive, schivando la tentazione di rigettare tutte le acquisizioni e le esperienze venute dopo.

Come, nella temperie consiliarista torinese, intorno al 1920, idee rivoluzionarie socialiste si incontrarono con le suggestioni gobettiane della rivoluzione liberale, a cavallo tra XX e XXI secolo, nel pieno di una tumultuosa globalizzazione e dopo la caduta del Muro di Berlino, una porzione significativa della sinistra di matrice comunista fa proprio il socialismo liberale di Carlo Rosselli e riconosce appieno la funzione regolatrice del mercato.

Non tutto va immolato sull’altare del mercato, anzi. O, per dirla con Lionel Jospin, occorrerebbe distinguere nettamente fra economia di mercato e società di mercato. Una società, quest’ultima, reificata, nella quale tutto tende a divenire merce, cosa, scambio.

E così è rispetto, poniamo, al merito. Da non idolatrare, certo; nulla andrebbe assolutizzato: non il mercato e non il merito. Occorre contestualizzare. Senza dimenticare che proprio negli anni Ottanta, e già prima, erano proprio la sinistra, il Pci, la stessa Fgci, specie al Sud, dove imperava il clientelismo democristiano, accanto, sempre più, a quello del Psi (come era accaduto in precedenza con quello del Psdi), a dar voce all’istanza del merito: di ragazze e ragazzi liberi, non inclini ad asservirsi ai potentati e alle baronie locali, pronti a far leva sull’impegno, sullo studio, sul lavoro. Ragazze e ragazzi puliti, che chiedevano di poter andare avanti con le proprie forze.

Ecco, occorrerebbe discernere, praticare l’arte del discernimento: solo di notte tutte le vacche sembrano nere. Dovremmo riuscire a distinguere, anche rispetto agli ultimi tre decenni: non tutto era sbagliato nel campo del centrosinistra. Gli ultimi trent’anni non hanno rappresentato solo la “storia di un errore” della sinistra.

Molti sono stati gli errori, certo, ma non sono mancate intuizioni feconde. O intuizioni nate già morte, subito smarrite, rimaste solo come conati. Cammini interrotti già prima di iniziare, o subito dopo, scelte incompiute, possibilità intraviste ma rimaste inesplorate. Così come non è stata la “storia di un errore” quella del Pci o quella di noi giovani comunisti di allora.