Il congresso Fi
Tajani lancia la Forza Italia del dopo Berlusconi: stemperare i furori sovranisti di FdI e Lega
Il segretario dice che Berlusconi era “il nostro Maradona” e sottolinea il ruolo chiave del partito nello stemperare i furori sovranisti di Fdi e Lega
Politica - di David Romoli
È il primo vero congresso di Forza Italia in trent’anni tondi di esistenza ma è anche un congresso senza suspense, con tutto già scritto, deciso, pesato col bilancino. Antonio Tajani, il nuovo leader, rassicura e assicura: “Senza Berlusconi tutti erano convinti che saremmo scomparsi e invece è successo il contrario”.
Non è spavalderia guascona, nulla sarebbe più distante dal carattere dell’uomo. I segnali sono davvero confortanti. I sondaggi lo autorizzano a essere ottimista, rendono persino plausibile il sogno che pareva proibitissimo di battersi da pari a pari con la Lega, e a quel punto non importerebbe più chi prende uno zero e qualcosa di più. Per Tajani sarebbe l’incoronazione sul campo, dopo quella del congresso azzurro di Roma.
Ma i sondaggi valgono quel che valgono e prima di essere ratificati nelle urne i segnali contano fino a un certo punto. Tajani lo sa e nonostante i toni galvanizzati è ben consapevole di quanto difficile sia il compito che lo aspetta: “È come una finale di Champions. Berlusconi era Maradona, senza di lui dobbiamo fare gioco di squadra”.
Silvio il fondatore è ovunque, citato, ricordato, ringraziato, evocato. Ma la celebrazione officiata a Roma segnala il peso di un’assenza, non di una presenza che si tramanda. Senza Berlusconi non c’è più Forza Italia: il mandato che il congresso affida a Tajani è di creare di fatto un partito nuovo, perché quello vecchio non sarebbe in grado di sopravvivere senza il suo fondatore e la sua unica vera anima.
Sin qui Tajani si è mosso bene. Ha capito subito di non dover imitare neppure solo per accenni l’inimitabile e ha imboccato la strada opposta. Si è mosso sempre in understatement, evitando ogni presenzialismo, con discrezione e con metodo. Non sarà presidente, perché nel partito d’Arcore di presidente può essercene uno solo e quello non c’è più, ma segretario.
Il dna del partito che immagina, quello che ha illustrato ieri in apertura del congresso, è incarnato dalla sua immagine pubblica, gli somiglia come una goccia d’acqua. “C’è uno spazio enorme tra Schlein e FdI e noi vogliamo occuparlo”, promette consapevole di avere solo una carta forte sulla quale puntare: se il centrodestra è tale, se non è una coalizione puramente di destra è solo perché c’è il partito azzurro.
Senza Fi una fetta di elettorato certo ridotta rispetto ai fasti di un tempo ma pur sempre essenziale probabilmente non ce la farebbe a schierarsi con Salvini e neppure con il moderatismo dell’ultima ora e intermittente di Giorgia Meloni.
Il partito di Tajani non alza la voce. Appoggia Israele ma con gli accenti più critici che si siano mai sentiti in materia dentro Fi. Assicura di non volere guerre con la magistratura anche se ci “sono eccessi di alcune procure”.
Diventa radicale solo in materia di europeismo e atlantismo, tra gli applausi di Weber, in carne ed ossa, e di Ursula von der Leyen, in videomessaggio. Entrambi esaltano il ruolo del nuovo leader e del suo partito nel fronteggiare “i populisti burattini di Putin” e nel garantire che l’Italia resti “l’àncora dell’Europa”.
Se a Salvini sono fischiate le orecchie il motivo c’è. Anche la premier si affida al videomessaggio e non manca di esaltare il leader scomparso, il fondatore del centrodestra che “ha dato la democrazia dell’alternanza”, l’ “uomo straordinario che ha segnato la storia” e anche lei parla d’Europa, la piazza grande dove sogna di “portare il modello italiano”.
Ma è un modello che può essere trasferito nell’Unione solo rendendo del tutto innocuo Salvini. Nel disegno della premier Fi gioca un ruolo essenziale e determinante, la Lega, in prospettiva, non va oltre la parte ingrata della comprimaria. Il sogno di batterla alle europee, nasce anche da questa constatazione. Ma è storia di domani e non sarà una faccenda facile.
Quella di oggi invece lo è. I quattro vicesegretari sono già stati decisi: Roberto Occhiuto in quota segretario e in pole position per il ruolo di “sostituto”, il vero vicesegretario di fatto, Deborah Bergamini in rappresentanza ufficiosa della famiglia, che compare alle assise incarnata nel fratello del sovrano scomparso, Paolo, Stefano Beningi rappresenterà la vedova, Marta Fascina, che era attesa ma non è arrivata e non arriverà, Alberto Cirio, governatore del Piemonte, è l’uomo di punta del partito degli amministratori: non si tratta di correnti ma delle potenze che ancora dominano il partito mai nato.
Solo quando in campo azzurro la politica e non l’equilibrio tra potentati Forza Italia sarà un partito e i suoi saranno veri congressi. È un traguardo non ancora raggiunto: ma con le assise di Roma gli orfani di Roma hanno imboccato quella strada. Il resto è in mano agli elettori: perché il futuro di Fi e di Antonio Tajani lo decideranno loro e non ci sarà molto da aspettare. Il test delle europee è importante per tutti. Per il partito azzurro lo è di più: è questione di vita o di morte.