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Si dà fuoco davanti all’ambasciata di Israele, morto militare americano: “Palestina libera”

FOTO DA X

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Soltanto ieri nel suo editoriale per L’Unità della domenica il direttore Piero Sansonetti paragonava la Palestina al Vietnam: la protesta contro la carneficina che va avanti in Medio Oriente, i giovani che scendono in piazza e che dimostrano una sensibilità politica sconosciuta alla narrazione di media e della stessa politica. Arriva oggi dagli Stati Uniti una notizia che si piazza sulla stessa lunghezza d’onda: quella di un soldato dell’aeronautica americana morto dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana di Washington.

Si chiamava Aaron Bushnell, era un membro in servizio attivo dell’aeronautica statunitense, come riferito dalla stessa Us AirForce e dalle autorità locali. Si è registrato mentre si dava fuoco: nelle immagini si vede l’uomo che si presenta, che spiega, che cammina verso l’ambasciata con in mano una borraccia piena di liquido infiammabile. Quando arriva nei pressi del cancello si cosparge del liquido e grida: “Free Palestine!“. Quel video è stato caricato sui social. Le fiamme sono state spente da alcuni agenti dei servizi segreti americani mentre l’uomo è stato trasportato in ospedale in gravi condizioni. Soltanto lo scorso dicembre un altro uomo si era dato fuoco davanti al consolato israeliano ad Atlanta, città che si trova nello Stato americano della Georgia.

Chi era Aaron Bushnell

Bushnell aveva 25 anni. “Non sarò più complice del genocidio“, ha aggiunto l’uomo prima di appiccare il fuoco e di essere coperto dalle fiamme. Ha piazzato il telefono di fronte e si è dato fuoco tra urla laceranti e strazianti. “Free Palestine!”. Con il passare dei minuti è diventato una torcia umana. Un gesto estremo che ha portato alla più estrema conseguenza. Un gesto che ha ricordato quelli dei monaci buddhisti e in particolare uno che andò in scena proprio in Vietnam, sempre in forma di protesta contro la guerra.

Come scriveva ieri il direttore Sansonetti: “La protesta cova. A me ricorda gli anni ruggenti del Vietnam. Le atrocità degli Stati Uniti in Vietnam, con i bombardamenti al napalm, con i villaggi rasi al suolo, con i vecchi e i bambini scannati dai marines sollevarono una protesta gigantesca in tutto il mondo. Furono il carburante che incendiò il sessantotto, a est come a ovest. Milioni di giovani in piazza. a Roma e a Washington. Peace peace love love. Il presidente democratico degli Stati Uniti costretto a rinunciare alla Casa Bianca. Il fenomeno del kennedismo di sinistra finito con un omicidio. I sette di Chicago. Attenzione. Non crediate che i giovano siano tutti Fedez, videogiochi e X Factor. Anche ai ragazzi della generazione del Vietnam piaceva il Piper ma poi misero paura al potere e spinsero alle corde la borghesia”.

Il “burning monk” in Vietnam

Sulla coda dell’articolo del direttore, ricordiamo l’episodio del cosiddetto “burning monk”, proprio a Saigon. Era l’11 giugno del 1963. Non erano ancora i tempi della guerra che avrebbe visto gli Stati Uniti sconfitti, erano i tempi della dittatura di Ngo Dinh Diem, un ex funzionario cattolico che lavorava nell’amministrazione francese del paese prima di diventare ministro e quindi Presidente di una dittatura di stampo cattolico.

A Hué, città cattolica sulla costa, nove persone furono uccise e 14 ferite durante una manifestazione per l’uguaglianza religiosa. Thic Quand Duc era un monaco buddista, aveva fondato più di 17 templi nel sud del Vietnam. Si diede fuoco in segno di protesta contro il regime cattolico estremista. Il giornalista di Associated Press Malcolm Browne scattò le foto che fecero il giro del mondo e che impressionarono anche il presidente degli USA John Fitzgerald Kennedy. L’esercito rovesciò il regime di Ngo Dinh Diem a novembre dello stesso anno.

Ancora oggi i monaci buddhisti si danno fuoco per protestare per ragioni politiche. Il cuore del monaco è conservato nella pagoda Thien Mu nella città di Hué.