Al cinema
Caracas: il film di Marco D’Amore con Toni Servillo, Napoli piovra e le sue anime salve ai margini
Dall'opera dello scrittore Ermanno Rea il film di Marco D'Amore, protagonista e regista, con Toni Servillo e Lina Camélia Lumbroso. Una storia di ricerca, inquietudine in una città che cambia, la Ferrovia che è un mondo nel mondo, un pianeta proibito
Cinema - di Antonio Lamorte
Perdersi a casa propria: sentirsi stranieri dove si è cresciuti, in quei vicoli che pulsano e fremono, e che parlano e cucinano e pregano manco fossero una città straniera. Che cos’è diventata Napoli? Quando dopo anni lontano lo scrittore Giordano Fonte torna, attraversa la città con un misto di estraneità e repulsione. Almeno fino a quando non resterà affabulato e intrappolato da una Napoli che non conosceva, che anzi non esisteva proprio ai suoi tempi. E che potrà incrociare soltanto grazie a Caracas: già naziskin, paracadutista spericolato, amico degli ultimi, sodale degli ultimi, in procinto di convertirsi all’Islam. Caracas – interpretato da Marco D’Amore, anche regista del film prodotto da Picomedia, Mad Entertainment e Vision Distribution in collaborazione con Prime Video e Sky – contiene collisioni e ambiguità campali e mai del tutto superate.
Per Fonte – interpretato da Toni Servillo – diventerà un amico geniale e un Virgilio pronto ad accompagnarlo in una dimensione sconosciuta: la Ferrovia, quella Napoli Ferrovia di Ermanno Rea che attaccava così: “Ognuno ha le amicizie che merita”. Napoli Ferrovia che era un meticcio tra diario, lettera, cronistoria, reportage narrativo, pamphlet sulla città. Sfiorò il Premio Strega nel 2008 – superato soltanto da quel caso editoriale che fu La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano. Sostanziali le differenze nella trama rispetto al libro, sostanziose le variabili su tema tra personaggi e relazioni. Napoli Ferrovia resta però in Caracas quel mondo nel mondo, città nella città, microcosmo, pianeta proibito dove si parlano più lingue che all’Orientale.
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Chi è Caracas
Lo chiamano Caracas e nessuno conosce il motivo: un velo sul passato che scopre e ricopre a piacimento, ne fa una mitologia. Del suo passato Fonte invece ha disseminato tracce e indizi nei suoi libri. Quando torna prova a schivare le celebrazioni dei salotti, annuncia che non scriverà più, ha l’impressione di aver parlato soltanto di Napoli per tutta la vita. Si conoscono in maniera grottesca: il loro rapporto è costruito a scatti, smottamenti improvvisi che spiazzano lo spettatore, a momenti stordito come lo scrittore spaesato e sfasato dagli eventi. “Non hai più un cazzo da dire”, gli urla contro Caracas. Poi cambia idea, impaziente di leggere le pagine del romanzo che Fonte ha cominciato a scrivere proprio su di lui, sulle loro scorribande: paragona giustamente l’arte, la scrittura, a una pisciata trattenuta che esce dal corpo.
A dare l’idea della trasposizione del romanzo a D’Amore il produttore Luciano Stella. “È una storia desueta, ambiziosa, non la conoscevo – ha dichiarato il regista ai giornalisti – è stato complesso ricostruire la cronologia degli eventi. Quando abbiamo scritto con Francesco Ghiaccio siamo rimasti attratti da questo mistero che si cela dietro i personaggi e i loro rapporti. Rea ha visto in anticipo gli eventi come fanno i grandi scrittori: come i rabdomanti”. Ha detto di aver trascorso mesi con la comunità islamica. “Non volevo raccontare un luogo geografico ma una sensazione: un calcio nel culo ai personaggi che li spinge in posti dove altrimenti non andrebbero mai. È una città che suda, un umore, un organismo che vive. Soltanto a Napoli si possono trovare la sede di Forza Nuova e a due passi una moschea. Non mi sembra che certi anfratti siano così raccontati”, nonostante il racconto ipertrofico di Napoli negli ultimi anni. “Non c’è un’inquadratura del Golfo”. Caracas è anche il ritorno di una coppia lungamente insieme a teatro. “Ho chiesto a Marco di dimenticare i ruoli del passato, quando eravamo in scena”, ha detto Servillo.
Cos’è Napoli Ferrovia
Attraverso il protagonista si intravede la crisi dell’Occidente, l’incapacità di creare nuove ideologie, l’inadeguatezza ad accogliere altri mondi che pure esistono, che in qualche modo sopravvivono, si uniscono, si organizzano, si prendono cura della città e dei suoi ultimi, delle sue anime più o meno salve, e si vede la Napoli portuale sbarrata da mostri di cemento come Palazzo Ottieri, città spugna e piovra e città coloniale. Ermanno Rea annunciava: “È arrivato il momento di rinnovare il sangue nelle nostre vene, di annacquare un’etnia sempre più segnata dalla passività, dalla recita e dall’inganno”. Che bello il tempo di Caracas, che bella compagnia per questo integralista, un romantico, un sognatore innamorato – di un amore totale – di Rosa La Rosa che nel film diventa Yasmina, interpretata dalla brillante Lina Camélia Lumbroso.
Rispetto al libro manca tutta quella risma di personaggi della Ferrovia e passa in secondo piano il dramma dell’eroina e del dopoguerra. Restano però due persone, la loro relazione, la loro inquieta ricerca di qualcosa che abbia più o meno l’aspetto di un posto sicuro, un momento buono. Potrebbe essere la verità, o la pace, una forma di serenità. Si trova nel nazionalsocialismo e nell’Islam per uno, si trovava nel comunismo e continua a trovarsi nelle storie per un altro. “Come si fa a rimané cà? Come si fa a fermà sto momento?”, chiede il protagonista allo scrittore. Caracas sarà al cinema dal 29 febbraio.