X

Perché un soldato americano si è dato fuoco per la Palestina: il dramma di Aaron Bunshell: “Non voglio essere complice del genocidio”

Perché un soldato americano si è dato fuoco per la Palestina: il dramma di Aaron Bunshell: “Non voglio essere complice del genocidio”

“Palestina come il Vietnam”, titolava in prima pagina l’Unità nell’edizione domenicale. Un titolo “profetico”. Avvalorato anche dalla storia, con tragico finale, di Aaron Bunshell. Aaron, 25 anni, era un soldato dell’aviazione militare americana che si è dato fuoco in segno di protesta davanti all’ambasciata di Israele ed è morto a causa delle gravi ustioni riportate.

Aaron aveva organizzato la sua protesta estrema trasmettendo tutto il video in diretta su Twitch. La drammatica sequenza è stata rimossa dalla piattaforma, ma è stata poi ripostata da migliaia di utenti su X: «Io non voglio più essere complice del genocidio: Palestina libera!», ha gridato il militare sottolineando che il suo gesto «è niente rispetto alle sofferenze dei palestinesi».

L’episodio è avvenuto al numero 3500 di International Drive Northwest, il cuore del quartiere «diplomatico» della capitale Usa. Nel video si vede Bushnell avvicinarsi all’ingresso dell’Ambasciata statunitense, riuscendo a non destare sospetti in quanto vestito in uniforme da combattimento.

Gli addetti alla sicurezza hanno chiesto se avesse bisogno di qualcosa, ma a un certo punto il soldato si è rovesciato addosso benzina con una borraccia e si è dato fuoco usando con un accendino. Nella parte iniziale del video, Bushnell aveva avvertito che stava per inscenare una protesta clamorosa, menzionando «il massacro» di migliaia di palestinesi nella Striscia di Gaza da parte delle forze militari israeliane, in risposta della strage del 7 ottobre, quando più di 1200 israeliani sono stati uccisi, e molte donne e ragazze stuprate, dai miliziani di Hamas.

La Cnn ricorda che un episodio simile si era verificato lo scorso dicembre, quando un uomo si era dato fuoco all’esterno del consolato israeliano ad Atlanta in quello che la polizia locale ha definito «un atto estremo di protesta politica». Una protesta destinata a crescere nei prossimi giorni. Perché l’assalto finale a Rafah è ormai imminente.

Le Forze di difesa d’Israele (Idf) hanno presentato al gabinetto di guerra un piano per l’evacuazione dei civili palestinesi dalle zone di combattimento nella città più a sud della Striscia di Gaza, Rafah, e la propria strategia operativa futura.

Lo ha riferito l’ufficio del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, aggiungendo che il gabinetto ha approvato la fornitura di aiuti umanitari al sud di Gaza «in modo da prevenire i saccheggi che si sono verificati nel nord della Striscia di Gaza e in altre aree».

Israele sta portando avanti i piani per un’operazione di terra a Rafah, considerata l’ultima roccaforte del movimento islamista palestinese Hamas a Gaza e dove si sono rifugiati circa 1,5 milioni di palestinesi dall’inizio del conflitto. L’invasione di terra è questione di giorni, forse di ore.

Un attacco militare israeliano ha colpito una casa nel Nord di Rafah, e ha ucciso quattro persone, tra cui una donna e un bambino. Lo riferisce l’agenzia di stampa palestinese Wafa. Molti altri sono rimasti feriti nel bombardamento. Le forze israeliane continuano a bombardare anche il lato est di Rafah, da cui molti residenti sono scappati.