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Risultati elezioni regionali Sardegna, così Todde ha battuto Truzzu e gelato Meloni

Risultati elezioni regionali Sardegna, così Todde ha battuto Truzzu e gelato Meloni

Quando mandiamo in stampa il giornale i risultati delle elezioni regionali in Sardegna sono al fotofinish. Mancano ancora ore al risultato finale, i candidati teste di serie sono ancora testa a testa e anzi Paolo Truzzu, fratello d’Italia e sindaco di Cagliari, è ancora in testa di un soffio.

Ma nelle sedi del centrosinistra già tripudiano, in quelle del centrodestra preparano il comunicato della sconfitta. Il grosso dei seggi che ancora mancano all’appello è concentrata a Cagliari e lì Alessandra Todde, la candidata voluta da Conte e accettata senza primarie e tra mille mugugni da Schlein è tanto forte quanto il rivale inconsistente. Soru ha veleggiato tutto il giorno intorno all’8%: la sua presenza doveva azzoppare solo il centrosinistra, invece ha rubato voti a manca ma anche a destra.

Per Meloni, se le previsioni unanimi saranno rispettate è un tonfo, il primo. Per Schlein un risultato brillante. Le ragioni dell’insuccesso della destra le rivela lo specchio fedele del voto disgiunto. Nei ranghi tricolori e azzurri continuano a sospettare la Lega di aver puntato sul voto disgiunto per rappresaglia dopo la defenestrazione del governatore uscente Solinas, Partito sardo d’azione accorpato col Carroccio, sostituito da Giorgia Meloni con un candidato suo sino al midollo. Però le cifre raccontano un’altra verità.

I consensi di Truzzu sono effettivamente un po’ inferiori a quelli della coalizione, ma è cosa da poco, poche migliaia di voti, troppo pochi per parlare di agguato della Lega e del Psdaz che, al contrario, possono rivendicare una sostanziale fedeltà del loro elettorato nonostante l’affronto.

Le cose stanno diversamente sul fronte opposto: lì il voto disgiunto pesa davvero ma a tutto vantaggio di Alessandra Todde, che a sera incamerava tra i 20 e i 30mila voti in più della coalizione. Ad alterare le percentuali, che a sera vedevano la destra prevalere di 7-8 punti percentuali è l’exploit personale di Alessandra Todde, non la coltellata leghista alla schiena di Truzzu.

È un successo netto di Conte e del Movimento, che hanno scelto la candidata giusta, ma anche, forse per certi versi anche di più di Elly Schlein, che ha deciso di appoggiarla nonostante le resistenze interne e ha tenuto duro anche quando Soru, che in quel momento sembrava destinato a decretare la sconfitta della sinistra, ha offerto il suo ritiro in cambio di quello della pentastellata.

Inoltre, per quanto poco significativo sia con tante liste civiche in cartellone, il Pd dovrebbe concludere la corsa in testa come primo partito. Successo comune dei due leader del centrosinistra e consenso elevato a potenza: quella in Sardegna era la prima vera prova dell’eventuale alleanza e il risultato spinge con massima forza in quella direzione. L’ipoteca sulla nascita della coalizione a tutt’oggi virtuale è determinante: se non proprio decisiva, qualcosa di molto vicino.

Per Giorgia Meloni vale una valutazione diametralmente opposta. La defenestrazione di Solinas, per la verità brutale, mirava certamente a dimostrare che la premier comanda in casa propria e considera tale l’intera coalizione, ma si basava su un’argomentazione forte, l’impopolarità di Solinas in una regione dove da decenni i governatori uscenti non sono rieletti mai.

L’errore è stato scegliere un candidato sbagliato, in fondo alla lista dei sindaci più popolari, in nome della solidarietà tra “gli underdog” i militanti di estrema destra ai tempi del ghetto, insomma i missini o i nostalgici del Msi. L’eterna maledizione di Giorgia Meloni.

I tre leader della destra si sono visti a pranzo e tutti assicurano, garantiscono, ribadiscono che il clima era tra i più sereni. Chissà se è vero ma difficilmente l’armonia resisterà anche nei prossimi giorni: è più probabile che, pur se tenuto discretamente in sordina, il rimpallo delle accuse prenda rapidamente piede.

Anche perché i duellanti, Meloni e Salvini, hanno entrambi ottimi argomenti da sbattere in faccia all’altro. La premier può rinfacciare alla Lega l’eredità pesante di un governo che è piaciuto pochissimo.

Il patron del governatore detronizzato può accusare la presidente di aver scelto il candidato sulla base di quell’ “amichettismo” che proprio lei bersaglia, o meglio di un vincolo di fedeltà tra antichi “camerati” che ha avuto la meglio su qualsiasi altra considerazione e ha impedito di sostituire sì il brocco Solinas ma con un candidato forte e non con un vecchio compagno d’arme.

A destra di vincitore ce n’è uno solo: Tajani, che si avvicina alle percentuali di Lega e Psdaz insieme e conferma di aver permesso a Fi di sopravvivere alla scomparsa di Berlusconi, come non era affatto detto.

Per la premier la mazzata, sempre che sia confermata dai risultati definitivi come sembra però certo, è multipla. Quella in Sardegna era la prima elezione regionale: di qui all’anno prossimo ne seguiranno moltissime altre e non si può dire che la maggioranza sia partita col piede giusto.

Tutti, nella destra, concordano e ammettono che le divisioni intorno alla sostituzione di Solinas hanno pesato molto negativamente. “Bisogna evitarle” è la parola d’ordine ma coniugarle con il progetto meloniano di affossare il terzo mandato per i governatori in modo da strappare il Veneto alla Lega non è difficile: è impossibile.

La cupa possibilità che la sconfitta in una partita che pareva già vinta annunci un cambio di vento è reale. Ma soprattutto, tutti in ogni partito del centrodestra sono consapevoli di aver assistito, in Sardegna, alla nascita di una coalizione Pd-M5S-Avs che sanno essere ora temibile.