Venerdì scorso, Marjan Jamali, 29enne di Teheran, ha denunciato alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria i suoi violentatori. Sabato è uscita sull’Unità la storia di come lei si sia ritrovata accusata (dai suoi violentatori) di essere la scafista della barca con cui è arrivata in Italia insieme a suo figlio di 8 anni.
Lunedì è stata trasferita all’improvviso dalla prigione di Reggio Calabria al reparto psichiatrico del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto. Senza che fosse avvisato il suo difensore. All’ex manicomio criminale dicono: è stata mandata qui per un mese di osservazione psichiatrica.
“Fino a venerdì mattina, l’ultima volta che l’abbiamo vista, non mostrava segni di squilibrio mentale. Anzi, era tranquilla e fiduciosa e fremeva all’idea di vedere suo figlio” racconta preoccupatissimo il suo avvocato, Giancarlo Liberati, che ha chiesto ieri al presidente della sezione collegiale del Tribunale di Locri “di disporre con urgenza una perizia medica in contraddittorio con un consulente della difesa”.
Marjan era in attesa che fosse fissata la data del Tribunale del Riesame. La prima udienza del processo che si svolgerà con rito ordinario è prevista per l’11 marzo ed il difensore non ha potuto optare per un rito alternativo più celere perché la pm Luisa D’Elia della Procura di Locri, ha richiesto di procedere con giudizio immediato senza accogliere la richiesta di interrogatorio presentata nei termini di legge.
Considerate voi se questo trasferimento all’ex manicomio criminale in Sicilia (suo figlio è in Calabria) ha il sapore di una ritorsione per aver osato denunciare la violenza e aver scoperchiato pubblicamente il pentolone di Locri.
Nella notte tra il 22 e il 23 di ottobre 2023 mamma e figlio salgono a bordo di una barca a vela di quindici metri insieme a un centinaio di persone. Il cibo scarseggia, quasi subito finisce l’acqua. Tensioni. Liti sottocoperta per accaparrarsi un posto dove circoli un po’ d’aria.
Un giorno durante la traversata, Marjan – con il bambino accanto – si sveglia di soprassalto sentendosi mani che le si infilano sotto i vestiti, la palpano. Lei strilla. Chiede aiuto alle persone stipate insieme a lei lì sotto. Solo un ragazzo la difende. Iraniano, come lei. Si chiama Amir Babai e la pagherà carissima.
Dice ai quattro di smettere, di lasciarla in pace. Parte un litigio. Il bambino guarda immobile, terrorizzato. I quattro sono furibondi. Si chiamano Rahen Khalid Rasul, Rahman Izadi, Mohammed Lateef Hasan e Ali Bishwan Darwish. Tutti e quattro iracheni. L’ultimo, Ali Bishwan Darwish, dice Marjan, era uno dei capitani. Il più violento, dice lei, era Rahen Khalid Rasul.
Bishwan Darwish la minaccia: te la faccio pagare. Ci sono persone che possono confermare? Sì, dice Marjan. Sono tutti iraniani quelli che dopo l’hanno un po’ aiutata. Alì Hussein, Irfan Barzigar, Mortaza Abbasi ed Aronzo Abbasi.
Qualcuno alla Procura di Locri l’ha cercati? Perché poi è successo che quando la barca è intercettata e i migranti nel porto di Roccella identificati, alla solita domanda che gli agenti di polizia fanno agli sbarcati “chi sono gli scafisti?” i tre a rispondere sono proprio, Rahman Izadi, Mohammed Lateef Hasan e Ali Bishwan Darwish, ossia tre degli aggressori della ragazza.
E chi indicano? Lei e Amir Babai, l’iraniano che l’ha difesa. Qualcuno al tribunale di Locri si è chiesto quanto siano attendibili le accuse di iracheni, maschi, sunniti contro due iraniani sciiti? E soprattutto, visto che sono state prese per buone quelle accuse (uniche prove per sbattere in galera due persone su cui non grava nessun altro indizio) qualcuno si è assicurato di avere gli accusatori a disposizione per un incidente probatorio comandato dalla legge? No.
E gli accusatori, ovviamente, arrivederci e grazie e sono spariti. Questo succede tutti i santi giorni. Chi arriva da clandestino e viene identificato ha subito notificato il reato commesso (ex articolo 10 bis Testo unico sull’immigrazione). Non si ferma lì cortesemente ad aspettare di passare altri guai. Si allontana prima possibile.
Qualcuno si è preoccupato di ascoltare la ragazza indicata come scafista? Eppure è strano che in una barca gremita di 100 persone comandi una ragazza. Nel verbale di identificazione c’è scritto che Marjan parla e capisce l’arabo. Non è vero. L’interprete è un iracheno, maschio, sunnita che forse non capisce bene il persiano che lei parla ma al verbale di tutto ciò niente risulta.
Tanto poco capisce l’interprete che non capisce nemmeno come si chiama la ragazza. Maryam Qaderi, sta scritto nel rapporto, nata il primo gennaio del 1995. Sbagliati nome, data di nascita e sbagliato anche il nome del bambino. Bastava guardare nell’Iphone che la ragazza aveva con sé per trovare le foto dei passaporti con i nomi corretti e le date di nascita. Ma nessuno l’ha fatto.
Gli accusatori vengono lasciati liberi di sparire, insieme a loro e a tutti gli altri spariscono pure i due scafisti iracheni. Insieme a Marjan e l’iraniano Amir che l’ha difesa vengono fermati due egiziani uno dei quali confermerà di essere uno scafista e forse, se glielo avessero chiesto avrebbe potuto dire che quei due iraniani erano dei passeggeri.
D’altra parte basta fare due telefonate, una al padre della ragazza e una all’agenzia dove sono stati depositati i soldi per il viaggio – il cui nome è scritto bello grosso sulla ricevuta di pagamento – per verificare che qualcuno ha pagato 14mila dollari il viaggio di Marjan e di suo figlio: 9mila per lei e 5mila per il bambino. Niente di tutto ciò è stato fatto dagli inquirenti.
Non sembra per la verità che nessuno abbia indagato un bel nulla, è stato soltanto preso per buono il verbale con le dichiarazioni dei migranti accusatori lasciati sparire nel nulla senza occuparsi di assicurarseli disponibili per un incidente probatorio come comanda la legge.
Il 27 ottobre Marjan è stata fermata, il 30 il fermo è stato convalidato dal Gip di Locri, Mauro Bottone. Il bambino affidato dal Tribunale dei Minori a una famiglia afghana in una comunità in Calabria. La madre portata a Reggio Calabria, in carcere.
Dove non è mai stato portato suo figlio fino a pochi giorni fa. Un bambino di otto anni, strappato alla madre durante dopo una odissea dall’Iran al porto di Roccella, dopo lo sbarco non ha visto sua madre fino a febbraio.
A lei sono stati notificati tutti i documenti in arabo, nonostante Teheran sia notoriamente in Iran e in Iran si parli iraniano. Viene fatta istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare, perché almeno possa essere mandata ai domiciliari nella comunità con il bambino. Istanza respinta dopo nemmeno 24 ore in mezza paginetta dal gip di Locri.
Vengono anche trasmessi gli atti in procura con la segnalazione delle false generalità che avrebbe fornito Marjan sulla sua identità: come se fosse colpa di lei l’errore nel nome e non di chi le ha preso i dati senza nemmeno guardare il telefono dove le foto dei passaporti coi nomi c’erano. La ragazza da ottobre ad oggi non è mai stata sentita.
Avrebbe molte cose da dire utili agli investigatori. Saprebbe indicare i capitani, i testimoni. Il suo difensore dice: “Ho chiesto l’interrogatorio alla pm Luisa D’Elia, siccome non mi rispondeva sono andato fisicamente lì il 28 gennaio, a chiederglielo di persona. Lei ha detto di no, che non l’avrebbe interrogata perché, mi ha detto, aveva già chiesto il giudizio immediato. Ma non era vero che il 27 aveva già depositato la richiesta di giudizio immediato. Anche se sull’atto c’è scritta la data del 26, la sua richiesta l’ha depositata registrata il 29”.
Ora, a parte che il giudizio immediato si chiede quando le prove a carico dell’imputato sono schiaccianti, va notato che la pm ha chiesto il giudizio immediato senza aver nemmeno sentita l’accusata dopo che il difensore nei termini di legge ha chiesto l’interrogatorio.
Marjan in carcere ha già due volte tentato di ingurgitare overdosi di psicofarmaci. Vuole vedere suo figlio, è preoccupatissima per il bambino. Il bambino, dicono dalla comunità dove sta vivendo, chiede sempre della mamma.
Qualcuno in Procura, in questi mesi, si è domandato come mai i tre accusatori che hanno indicato la “donna scafista” e poi sono stati lasciati liberi di rendersi irreperibili, nella loro dichiarazioni non hanno menzionato l’esistenza del bambino? Non si erano accorti che insieme a lei c’era un bambino di 8 anni? L’11 gennaio escono due pezzi simili.
Su Avvenire: “Gli investigatori della Polizia hanno accertato che la giovane donna aveva fatto già altri due viaggi, cambiando nome e età. Non con ruoli secondari (…) Ma il trucco non le è riuscito, grazie alle indagini degli investigatori del Commissariato della Polizia di Siderno”. E sul Giornale: “La stessa donna era stata individuata nel ruolo di scafista altre due volte”.
Niente di tutto ciò sta negli atti. Al giornalista che firma il pezzo di Avvenire venerdì ho chiesto chi gli avesse dato queste informazioni preziose: i due viaggi precedenti, il ruolo a bordo e la cocaina. Mi ha risposto che la notizia veniva da persone della comunità dove è il bambino e che a loro le aveva presumibilmente date l’interprete. Presumibilmente.