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Intervista a Roberto Morassut: “Il PD deve ritrovare il socialismo”

Intervista a Roberto Morassut: “Il PD deve ritrovare il socialismo”

Roberto Morassut, parlamentare PD e membro della Direzione nazionale, Vicepresidente della Fondazione Giacomo Matteotti che lezione trarre dal voto in Sardegna?
Diversi fattori hanno concorso ad un risultato che, seppur di misura, consegna un primato alle principali forze di opposizione al Governo Meloni dopo una netta sconfitta elettorale nel 2022, mesi di discussione e di apparente inattaccabilità del centrodestra. Il governo locale in Sardegna e nelle città è stato bocciato per il suo malgoverno ed è stato espresso un voto sul merito della consultazione. Truzzu è stato sconfitto in particolare a Cagliari dove è Sindaco e Meloni lo aveva imposto tra le polemiche per toglierlo proprio da Cagliari, un “promoveatur ut amoveatur”, ma è inciampata. In secondo luogo, c’è un giudizio anche sul governo centrale perché credo che nel contesto di una Regione così fortemente caratterizzata dal senso profondo dell’autonomismo, il protagonismo diretto di Giorgia Meloni, che da Presidente del Consiglio ha imposto con arroganza il suo candidato, abbia provocato una reazione. Venire da Roma per sostenere a tutta birra il proprio candidato in una regione come la Sardegna è stato un errore fatale. E la bandiera dei “quattro mori” ha preso a sventolare già in quel momento. Ci aggiungo, cosa che non va messa in secondo piano, che questo è il Governo che vuole fare l’autonomia differenziata e questo nelle regioni più difficili sta passando come una minaccia. I dati ci dicono che la Sardegna per infrastrutture, sanità e scuola è una delle regioni più arretrate. È perfettamente naturale un senso di rigetto. Da ultimo credo che abbia pesato la vicenda di Pisa e che per una volta la destra sia stata una perfetta imitazione del noto “Tafazzi”.

Vale a dire?
Si sono manganellati da soli le parti basse con una azione di violenza gratuita contro dei minorenni. Forse non si sono nemmeno resi conto, in questi mesi, che questa impostazione securitaria di tante questioni, dai “rave”, al divieto di fare blocchi stradali, alla vicenda di Pisa sta intossicando l’aria. E a un certo momento la coscienza democratica si risveglia dal torpore, reagisce, non si fa schiacciare e interpreta la voglia di diritti e di libertà che è l’altra faccia della nostra società, che vuole sicurezza ma anche libertà… Detto tutto ciò c’è poi l’apprezzamento per Alessandra Todde che è una donna preparata, una ottima professionista, sostenuta da una coalizione unitaria che ha dato un segno di novità e di legame col territorio scongiurando i rischi delle divisioni purtroppo prodotte da Soru e dagli altri partiti a suo sostegno. Direi che il messaggio che dobbiamo trarre da tutto questo è che ora è possibile un cambio di fase politica, di orientamenti importanti dell’elettorato. La curva delle promesse elettorali della destra di due anni fa si va abbassando tra errori, gaffes, arroganza. Queste nuove opportunità debbono essere consolidate però… Vediamo i voti regionali dell’Abruzzo e della Basilicata e poi le elezioni europee.

Dal campo largo al campo giusto: l’alleanza Pd-Cinque Stelle è la prospettiva politica dell’anno elettorale e della sfida alle destre?
Sicuramente questa alleanza è imprescindibile. E non da oggi. Poi le denominazioni…bah… vogliono dire poco. Noi dobbiamo costruire uno “schieramento nazionale” che dalla politica estera – dove l’Italia si dimostra assente o ininfluente – al lavoro, al fisco, ai bisogni primari come sanità, casa e scuola, alle grandi riforme democratiche istituzionali ed elettorali – dove credo occorra vincere il Talmud di un parlamentarismo stoico – sia in grado di restituire fiducia al Paese sfidando e spaccando la destra, uscendo dalla ridotta dei “no”, dimostrando che l’alternativa c’è non solo perché la destra governa male ma soprattutto perché c’è un progetto credibile per il Paese. Questa è la nostra strada. Ho visto Calenda, ieri o l’altro ieri, ammettere che occorre avere un dialogo comune tra tutte le forze di opposizione, persino coi Cinque Stelle. Le condizioni per un percorso comune ci sono. Proviamo a coglierle. Gli elettori sembrano darci un segnale adesso.

Una segretaria sotto esame: Elly Schlein. Promossa?
Una cosa che non le si può dire è di non avere tenacia. A Roma si direbbe, con un’espressione che in politica è un complimento, che ha “tigna”. Non si è lasciata condizionare da certe critiche o da più di qualche rumore di sottofondo ed ha cercato costantemente la strada di un processo unitario con i Cinque Stelle, anche quando più di qualcuno le rimproverava una linea subalterna.
Ma soprattutto sta cercando di rimettere in moto un partito da tempo intorpidito, fermo nella rimessa, che da anni non sapeva più nemmeno scendere in piazza. La manifestazione di Piazza del Popolo fu il segnale che invece si poteva riaccendere il motore della mobilitazione nel Paese e nella società. Io resto sempre della mia idea, vale a dire che per avere uno schieramento forte e maggioritario si debba fare con coraggio un’operazione di forte innovazione sul PD, spingerlo ad essere un soggetto dinamico e a vincere le incrostazioni di questi anni che hanno ossificato la vita interna, per certi aspetti distorto e indebolito la funzione dirigente, e che questo non possa che transitare attraverso un largo processo di tipo costituente di un partito-movimento di sinistra, democratico e socialista. Perché senza un soggetto democratico e socialista del 25-30% almeno non avremo mai né un campo largo né un campo giusto e non bisogna esaltarci per un voto andato bene, perché l’aria resta intrisa di cattivi umori, di disperazione di massa…Siamo ad un cambio di correnti d’aria ma non è detto che queste gonfieranno le nostre vele se ci affidiamo solo ad una pratica di alleanze politiche. Dobbiamo cambiare noi, ma è un lungo discorso. E dico che in questo processo costituente va costruita un’area di “impronta socialista” che si cali nel presente e nel futuro ma rimetta in moto un pensiero riformista che pratichi la strada dell’eguaglianza sociale. Oggi questa impronta socialista nel PD non c’è, forse non c’è mai stata davvero.

Una mancanza non di poco conto.
Nei miei molteplici incontri sulle celebrazioni del centenario matteottiano mi accorgo di quanta sete vi sia di una forza democratica aperta ma che sappia toccare la corda della giustizia sociale e di quanta immensa strada vi sia da percorrere. La transizione ecologica coniugata con la giustizia sociale vuol dire impostare delle riforme strutturali che abbiano al centro lo Stato che sostiene con politiche dirette gli agricoltori che non hanno la forza per riconvertire le aziende, i piccoli proprietari di casa che non hanno le risorse per aderire alla riconversione energetica dei condomini, le città che debbono saper tradurre la rigenerazione urbana in rinascita sociale spostando nelle periferie e nelle aree spopolate le convenienze economiche per trasformare il territorio, coloro che non possono cambiare la macchina con cui vanno al lavoro. In Italia il sistema d’impresa nell’agricoltura, la proprietà immobiliare sono talmente piccole e frazionate che non possono farcela da sole. Questo è il problema italiano che ostacola l’equazione trasformazione ecologica-eguaglianza sociale. Occorre che si aggreghi la piccola proprietà e il movimento cooperativo potrebbe ritrovare una grande funzione sociale in questa direzione. Lo Stato dovrebbe darsi un programma di giustizia fiscale molto radicale per recuperare decine di miliardi necessari per sostenere la gracile piccola proprietà e le fasce deboli, ricostruire progressivamente la struttura delle amministrazioni pubbliche oggi sgretolata. Forse non ci siamo accorti che un po’ per volta abbiamo commissariato quasi tutto, che si opera in deroga e senza reali contrappesi amministrativi su quasi tutto… Così come siamo messi adesso il Pd non è nemmeno in grado di immaginare questo scenario alternativo. Deve recuperare un’impronta socialista dentro la sua identità democratica. Arrivo a dire che se si formasse un’area socialista forte e rinnovata sarebbe un bene e che anche in queste prossime liste qualche segnale lo si dovrebbe dare. Parlo di un’impronta socialista che organizzi non una generica sinistra interna o una nuova corrente ma un’anima politica e culturale che si è dispersa, che esiste in forma molecolare ma non elabora un pensiero critico e una visione politica, che ricollegandosi al movimento socialista e ai suoi vecchi affluenti oramai ricongiunti tra loro, metta in moto forze nuove , che esistono ma non trovano un alveo nuovo. Elly dovrebbe, secondo me, fare qualche operazione che, anche elettoralmente, parli a tante elettrici ed elettori che non hanno più nemmeno una bandiera in questo PD. Si recupererebbero molti voti.

L’inesistenza del centro. È una forzatura giornalistica?
È un dato matematico, allo stato, una debolezza ma non un’inesistenza. Però un centro che guarda a sinistra, che si allea con la sinistra non può non esistere in Italia. È un posizionamento che corrisponde ad una cultura politica che c’è da sempre, dal Risorgimento in poi, perché qui le forze liberali più sincere ed autentiche hanno sempre dovuto allearsi con la sinistra per tutelare l’ideale liberaldemocratico ora dallo straniero, ora dalla dittatura. In questa fase specifica poi, dopo il voto sardo è evidente che non potrebbero che aprire un confronto più stretto con noi e anche con i Cinque Stelle. Le rose fioriscono sempre in primavera ma il riscaldamento ambientale ha accelerato i tempi della fioritura…chissà.

Pace e lavoro sembrano slogan d’altri tempi. Ma una sinistra che cerca di riconnettersi con mondi vitali non dovrebbe ripartire da qui?
Alla Camera abbiamo costretto il Governo, inerte e ininfluente sulle crisi belliche in corso, ad approvare una mozione unitaria sul cessate il fuoco in Medio Oriente e sul salario minimo il Governo ha dovuto riconoscere nei fatti la forza e l’importanza di quella battaglia togliendola dal tavolo del confronto parlamentare con uno scippo, una legge delega che rinvia il tema a “babbo morto”. Ma la chiave di fondo per aprire anche su questi temi una prospettiva credibile resta l’Europa, la costruzione di un processo unitario più solido, sulla difesa comune, sulle grandi politiche del lavoro, del welfare, dell’immigrazione, della transizione ecologica e anche sulla riforma delle istituzioni europee per superare il vincolo dell’unanimità degli Stati nelle decisioni. Serve un’Europa più politica e meno somma di Stati. La famiglia democratica e socialista deve rafforzarsi e diventare un vero soggetto politico europeo. Il tempo corre veloce, lo scenario mondiale si muove verso un ordine mondiale nuovo e l’Europa rischia di restarne ai margini, come ha giustamente fatto notare in una recente intervista Rino Formica. Ne discuteremo al congresso del PSE che si svolgerà a Roma l’ 1 e il 2 marzo. Il PD è pronto a fare la sua parte lungo questo cammino.