Il dramma dell'iraniana

Marjan perseguitata, alla scafista immaginaria tolto il figlio e sbattuta in manicomio

Le hanno levato il bambino, l’hanno sbattuta in un ex manicomio, non hanno prove: è una persecuzione. Interrogazione del deputato Marco Grimaldi

Cronaca - di Angela Nocioni - 1 Marzo 2024

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Marjan perseguitata, alla scafista immaginaria tolto il figlio e sbattuta in manicomio

Non la spostano dall’ex manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto e hanno rifiutato la richiesta della difesa di una perizia psichiatrica alla presenza di un consulente di parte. Marjan Jamali, la ragazza di Teheran di 29 anni in attesa di giudizio perché accusata da tre uomini di essere parte dell’equipaggio di scafisti della barca a vela con cui nell’ottobre scorso è arrivata con il figlio di 8 anni a Roccella Jonica resta in Sicilia.

Loro – gli accusatori – irakeni sunniti hanno tentato di violentarla durante la traversata dalla Turchia alla Calabria. Lei, iraniana sciita, venerdì scorso ha denunciato i suoi violentatori alla procura di Reggio, sabato la storia della strana inchiesta piena di lacune della procura di Locri è uscita su questo giornale, lunedì lei è stata improvvisamente trasferita dal carcere di Reggio Calabria, dove era spesso visitata dal suo difensore e dove era riuscita finalmente pochi giorni fa a vedere suo figlio che non la vedeva da ottobre, dal giorno dello sbarco.

Hanno detto che il trasferimento è stato deciso dal Dipartimento amministrazione penitenziaria di Roma (il Dap) dopo la notizia del tentato suicidio della donna. Per tenerla in osservazione psichiatrica un mese. Dicono che lì ci sono gli psicologi e gli psichiatri in grado di occuparsi di lei, dicono che le è stata tolta la sorveglianza fissa.

Non rispondono se gli si chiede se e quali e quanti psicofarmaci le stiano somministrando e perché del trasferimento non è stata avvisato il suo difensore al quale non è consentito neanche di parlarle per telefono.

“ E’ per il suo bene che è stata trasferita lì” dicono. Singolare maniera di occuparsi del benessere di una detenuta in attesa di giudizio per un reato infame, di cui si dice innocente, trasferirla all’improvviso in un ex manicomio siciliano dove suo figlio, dato in affidamento a una famiglia afghana in Calabria, non potrà andarla a trovare. Strano modo di occuparsi anche del superiore interesse del minore.

“Vista l’istanza della difesa con cui si chiede l’immediato trasferimento di Jamali Marjan presso la Casa circondariale di Reggio e la disposizione di perizia in contraddittorio con un consulente della difesa, sentito il Pm (…) rilevato che tale trasferimento è temporaneo, rilevato che ad ogni modo la richiesta di perizia così come formulata è priva di fondamento normativo e che la materia dei trasferimenti dei detenuti è di competenza del Dap”, ha scritto il Tribunale di Locri in composizione collegiale (presidente Rosario Sobbrio e i giudici Mario Boccuto e Raffaele Lico) che ha così dichiarato inammissibile la richiesta di trasferimento e ha rigettato l’istanza di perizia.

Una interrogazione parlamentare in proposito rivolta al ministro della Giustizia Carlo Nordio è stata depositata ieri dal deputato Marco Grimaldi di Sinistra italiana. “I tre testimoni sentiti subito dopo lo sbarco sarebbero poi risultati irreperibili; in seguito all’arresto, la donna sarebbe stata separata dal figlio, l’avvocato di Jamali sarebbe in possesso della ricevuta di pagamento del viaggio dalla Turchia all’Italia per sé e per il figlio – 14mila dollari reperiti dal padre di Jamali – e avrebbe altresì raccolto la testimonianza della donna, secondo cui sarebbe stata vittima di violenze e molestie sessuali e minacce nel corso della traversata, da parte dei suoi accusatori, gli accusatori, essendosi resi irreperibili, non sono più a disposizione dell’autorità giudiziaria per un incidente probatorio e dunque sarà più complicato verificare ulteriormente l’attendibilità delle loro dichiarazioni, uniche risultanze sulla base delle quali oggi Marjan Jamali si trova in carcere, dalle ricostruzioni giornalistiche emerge anche che le traduzioni all’indagata siano state fatte da un interprete che non parlava la sua lingua e, allo stesso tempo, le sono stati notificati degli atti scritti in arabo, lingua che lei non parla e non comprende, a quanto pare, a causa della situazione drammatica e del dolore provocato dalla separazione dal figlio, Marjan Jamali due mesi fa avrebbe compiuto atti autolesivi e minacciato di togliersi la vita, a parere dell’interrogante, le informazioni raccolte consentono di ritenere che sia stato leso il diritto alla difesa della persona accusata e che le attuali condizioni di detenzione stiano ponendo la stessa in pericolo di vita”, scrive Grimaldi che chiede “quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere il Ministro, pur nell’ambito del grado di autonomia della magistratura, per verificare se nel corso del procedimento a carico di Marjan Jamali la Procura di Locri abbia garantito alla stessa il pieno esercizio del diritto di difesa e il rispetto di ogni altro diritto fondamentale, tra cui il mantenimento del rapporto con il figlio minore impedito dalla distanza dell’attuale collocazione carceraria”.

1 Marzo 2024

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