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Elezioni in Abruzzo, D’Amico prova a strappare a Marsilio la Regione

Elezioni in Abruzzo, D’Amico prova a strappare a Marsilio la Regione

In sé sarebbe un voto di media importanza. Non ininfluente, perché le elezioni regionali non lo sono mai, ma neppure di prima grandezza. Le circostanze lo hanno reso politicamente molto importante a livello nazionale e i leader confluiscono in Abruzzo.

Quelli del centrodestra chiuderanno oggi, tutti insieme sul palco la campagna del governatore uscente Marsilio (FdI). Nessuna comparsata collettiva invece per il centrosinistra, anche se qui il campo è più largo che mai essendosi aggiunto anche Calenda.

Ma i leader avevano progettato l’incursione a braccetto in Sardegna, Alessandra Todde ha cortesemente declinato ed è andata bene: formula vincente non si cambia.

Schlein arriverà domani, e non certo per il primo giro elettorale in loco, insieme a Bersani. Calenda si fa vedere da giorni. Conte si è trasferito in pianta stabile già all’indomani del voto sardo.

La possibilità di una seconda vittoria a sorpresa, che assumerebbe a questo punto i tratti di una tendenza politica per la premier molto preoccupante, è reale.

Gli ultimi sondaggi, prima dell’esito del voto sardo, registravano ancora un certo vantaggio di Marsilio, ma in netta decrescita rispetto a quando, pochi mesi fa, la distanza sembrava incommensurabile e incolmabile.

La spinta della Sardegna potrebbe risultare quindi decisiva, tanto più che in Abruzzo il centrosinistra si presenta unito come mai prima d’ora. È vero che Calenda insiste nel ripetere “Mai con i 5S”, intendendo in realtà dire “Mai a livello nazionale”.

Però diceva la stessa cosa, sino a pochissimo tempo fa, anche delle regionali quindi la fiera negazione di ogni possibile accordo per le politiche appare decisamente stemperata.

Vincere in Calabria è importantissimo per tutti. Per Conte forse anche più che per gli altri: si tratta di dimostrare che quando c’è lui si vince e senza di lui non c’è partita.

Ma per quanto importante sia strappare alla destra la seconda regione che pareva inespugnabile e per quanto l’unità del centrosinistra sia la vera carta potenzialmente vincente il leader dei 5S si muove lo stesso all’opposto di quel che fanno di solito i leader in condizioni simili alla sua.

Invece di nascondere e minimizzare le differenze e i dissensi col partito potenzialmente alleato li sottolinea col pennarello rosso e li esalta. Lo ha fatto nei giorni scorsi, definendo a pieni polmoni “insostenibile” insistere nel cercare la vittoria di Kiev nella guerra, ripetendo forte e chiaro il suo no alle armi per l’Ucraina, segnalando che non ci può essere alleanza senza una visione comune sulla pace e la politica estera.

Insomma ha chiarito per l’ennesima volta, ove mai qualcuno non lo avesse capito, che l’alleanza in grado di competere con la destra, che senza il suo Movimento è un miraggio, si può fare ma alle sue condizioni. La prima delle quali è l’abbandono di ogni tentazione egemonica da parte del Pd.

Le differenze in materia di politica estera sono reali ma il leader dei 5S le usa per inviare un segnale più complessivo, nel quadro di una strategia che va oltre lo specifico di questa o quella divergenza, per quanto importanti possano essere.

Si tratta appunto di chiarire che l’alleanza è alla pari e che il Movimento ha tutte le intenzioni di competere con il partito di Elly per imporre la sua linea, i suoi candidati e in tutta evidenza, quando sarà il momento, il suo concorrente per la leadership.

Forse lo stesso Conte, forse una figura terza: certo non il leader del Nazareno. Non a caso l’ “avvocato del popolo” dà il via libera a candidati comuni nelle Regioni solo quando provengono dal suo Movimento, come Todde in Sardegna, oppure sono indipendenti, pur se di area Pd come D’Amico in Abruzzo.

Il vero problema, per Schlein, è questo e non è un nodo che si scioglierà dopo le europee che, dato il sistema proporzionale, incentivano le competizioni interne.

Va da sé che l’insistenza del pentastellato sulla pace e contro le armi a Kiev mira a fare alle europee il pieno di voti di quell’elettorato di sinistra che non crede nella gestione Nato della guerra.

Ma la scelta dell’avvocato va al di là sia delle elezioni europee che della specifica questione. È una competizione a tutto campo e proseguirà sino alle prossime elezioni politiche. Alle origini c’è l’errore clamoroso commesso da Letta nelle elezioni del 2022.

L’allora segretario del Pd rifiutò l’alleanza con il M5s, in larga misura proprio per le diverse pozioni sull’Ucraina anche se ufficialmente solo per la caduta di Draghi, essendo convinto che comunque il Movimento sarebbe sparito di conseguenza.

Invece il M5s è uscito molto bene dalle urne del 2022, dimostrando così di non aver bisogno del Pd per sopravvivere, anzi per dimostrarsi in ottima salute. Si è creato allora lo squilibrio che regala oggi a Conte un inestimabile vantaggio strategico.

Il Pd, partito di governo per vocazione inscritta nel dna, ha bisogno dei 5S perché da solo non ha alcuna speranza di vittoria alle elezioni. Il M5s, partito d’opinione che all’opposizione si trova benissimo, non ha bisogno del Pd.

Per Schlein, leader di un partito che non è mai stato capace di pensarsi se non come forza egemone nelle coalizioni, il problema è grosso oggi e sarà enorme domani. Anche perché se il centrosinistra vincesse in Abruzzo sarebbe un ottimo risultato per lei ma ancora migliore per Conte.