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Perché Chico Forti è stato condannato all’ergastolo negli Usa: da 24 anni in una cella in Florida

Perché Chico Forti è stato condannato all’ergastolo negli Usa: da 24 anni in una cella in Florida

Mai come nel caso di Enrico “Chico” Forti il pannelliano “la durata è la forma delle cose” risulta all’altezza del vissuto di qualcuno.

Da un quarto di secolo infatti, Chico protesta la propria innocenza a seguito di una sentenza che il 15 giugno del 2000 lo condannò all’ergastolo senza condizionale “per aver personalmente e/o con altra persona o persone allo stato ancora ignote (enfasi mia), agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte di Dale Pike”.

In quell’estate inizia l’incubo di Chico e la mobilitata disperazione dei suoi famigliari per aiutarlo. Nei primi anni, per confrontarsi con la pessima qualità dell’amministrazione della giustizia dello Stato della Florida, sono stati ingaggiati avvocati incapaci o che, si scoprì poi, erano amici (personali) dell’accusa e che a fronte di parcelle esorbitanti non furono mai in grado di rispettare le scadenze per poter riaprire il processo per poter far dimostrare a Chico la propria estraneità ai fatti contestatigli.

Questi errori procedurali hanno fatto sì che centinaia di pagine e alcune prove cruciali siano state cestinate lasciando a Chico una sola possibilità di riesame davanti a giurisdizioni più alte. Fallita quella non ci sarebbe più stato nulla da fare.

Ed è in questa drammatica incertezza che nella primavera del 2012 fu composta una possibile alternativa politico-legale che il 30 maggio di quell’anno con lo zio Gianni e la compagna Wilma presentammo all’allora Direttore Centrale per i Servizi agli Italiani all’Estero Francesco Saverio Nisio insieme a Ferdinando Imposimato (avvocato italiano di Chico Forti) e la criminologa Roberta Bruzzone.

Un incontro concesso dopo conferenze stampa e interrogazioni parlamentari organizzate dal 2009 con il Senatore trentino Giacomo Santini a cui il Ministro Frattini aveva sempre risposto evasivamente ma che con l’arrivo di Giulio Terzi di Sant’Agata alla Farnesina divenne possibile.

Anche se le autorità consolari di Miami conoscevano la situazione, era la prima volta che le istituzione italiane venivano informate puntualmente sulle procedure sbagliate, i vizi procedurali prima, durante e dopo il processo, le violazioni del Patto internazionale sui diritti civili e politici relativi al caso di Chico, nonché le prove indiziarie e circostanziali inesistenti.

Un immane lavoro di archivio di Bruzzone aveva consentito la compilazione di nuove prove a discarico di Forti. A coronamento di questa nuova attenzione ufficiale, grazie all’interessamento del Console Adolfo Barattolo, andai a trovare Chico in carcere in Florida – in 12 anni di reclusione non aveva mai visto un eletto del suo paese.

Le guardie esterne del penitenziario della contea di Dade avevano il fucile a pompa, quando all’interno si verificavano violazioni del regolamento da parte di un singolo, l’intera camerata (altro che “cameroni” come da noi) doveva subirne la punizione in modo da complicargli doppiamente la vita. Quasi nessuno era madrelingua inglese.

L’eccezione accordatami in una giornata in cui i detenuti non ricevevano visite, ci consentì un incontro senza restrizioni di tempo in una saletta appartata.

La cordialità con cui il personale lo saluta restituiva l’impressione di essere di fronte a qualcuno che, forte della propria innocenza, era determinato a non mollare la sua lotta pur sapendo che era più impossibile che improbabile.

Nel 2013, da semplice cittadino, tornai a trovare Chico grazie al suo amico/angelo custode Roberto Fodde per aggiornarlo su quel che stavamo cercando di fare grazie al governo anche se il Ministro Terzi, il primo ad aver dato mandato alla Farnesina di preparare un dossier ufficiale sulla base di quanto consegnato l’anno prima agli uffici, era ormai in rotta di collisione con il Presidente Mario Monti.

Le insistenze continuarono con l’arrivo di Emma Bonino ma la speranza di riaprire il processo era sempre più tenue – gli avvocati locali parevano esser più interessati a farsi vedere indaffarati ma perdenti che efficaci nei loro ricorsi – occorreva un confronto, riservato quanto franco, tra governi.

Mentre ero a New York in vacanza andai anche a trovare nel suo ufficio di Manhattan Joe Tacopina, l’ultimo difensore incaricato dalla famiglia di tentare l’impossibile, non ne uscii rincuorato…

Il 23 dicembre del 2020 il Ministro degli Esteri Di Maio pubblicò sui social di aver “comunicato alla famiglia e al Presidente della Repubblica e del Consiglio che il Governatore della Florida (Ron DeSantis ndr.) ha accolto l’istanza di Chico di avvalersi dei benefici previsti dalla Convenzione di Strasburgo e di essere trasferito in Italia. Si tratta di un risultato estremamente importante, che premia un lungo e paziente lavoro politico e diplomatico”.

Non accadde. A Chico e alla sua famiglia la pazienza, proprio come la speranza, non sono mai mancate, questa volta, dopo l’annuncio della presidente Meloni, potrebbero finalmente essere soddisfatte.