La campagna elettorale

Regionali Abruzzo: i sondaggi preoccupano Meloni dopo la batosta sarda

Dopo la sconfitta in Sardegna, Meloni tenta sul palco di Pescara di essere più umile. Ma poi torna al copione abituale. Come Salvini: “No a genitore 1 e 2”, strilla

Politica - di David Romoli - 6 Marzo 2024

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Regionali Abruzzo: i sondaggi preoccupano Meloni dopo la batosta sarda

La Giorgia Meloni che a Pescara chiude la campagna elettorale di Marco Marsilio, presidente uscente. Non strafa. Si mostra sicura ma non troppo: “Effetto Sardegna: ma se ancora non si sa come è andata a finire!”.

Pericolo per l’Abruzzo: “Io sono ottimista”. Ironizza ma senza dare spettacolo: “Quando arrivo io piove sempre, però porto bene”. Sul palco i toni sono da comizio d’altri tempi e nessuno si sottrae all’imperativo di infiammare la platea, meno di tutti il governatore uscente che deve replicare all’accusa di non essere nato in Abruzzo, pur essendo abruzzese di famiglia e lo fa con i toni più infervorati che si possano immaginare.

Ma l’argomento centrale, per tutti, è la regione. Tutt’altra storia da quando, dieci giorni fa, la premier aveva chiuso la campagna a Cagliari magnificando il suo governo e dimenticando lo specifico dell’isola: un errore che, sommato ai molti altri commessi e tutti dettati da una eccessiva sicurezza, le è costato la prima sconfitta secca da quando è diventata premier.

Salvini non rinuncia al ringhio. Va all’attacco sui dossier. Fa sapere che lui “non da leader o ministro ma da privato cittadino” denuncerà presso tutte le procure.

Strappa l’ovazione facile ripetendo che “per me il papà si chiama papà e la mamma mamma, non genitore uno e genitore due”. È un animale da comizio, si trova nel suo e non delude. Poi si scaglia contro l’integralismo islamico che è il contrario della libertà femminile.

Meloni si concentra sullo specifico. Elogia Marsilio, e insiste, non a caso, sul fatto che è abruzzese e dunque “testardo come un abruzzese”. Lo candida a un primato: il primo presidente confermato al secondo mandato nella parabola abruzzese.

Poi martella sui risultati conquistati in Abruzzo. Ma torna all’elenco dei successi, veri o presunti, del suo governo. Magnifica la compattezza del governo, che se pare diviso e lacerato è solo per colpa delle bugie della stampa.

Ma i comizi, si sa, sono fatti a uso e consumo di chi già sa come votare. In qualche modo, e pur senza rinunciare agli urli di prammatica, qualcosa la lezione sarda ha insegnato anche a lei.

Che basti non è certo e la sconfitta stavolta sarebbe un disastro per lei e per tutta la destra: bocciato sarebbe il primo presidente di regione targato FdI.

Ma il voto di domenica vale doppio perché qui ci si gioca anche il significato politico del voto in Sardegna. La vittoria, proprio perché diventata incerta in extremis, permetterà di derubricare il fattaccio sardo a incidente di percorso, uno scherzo del destino cinico e baro agevolato dagli errori della destra, dei quali però si potrà fare tesoro.

Ma una sconfitta renderebbe innegabile la crepa profonda, autorizzerebbe tutti a parlare di discesa imboccata e la strada verso lo scontro finale e decisivo, quello dal quale dipende il futuro politico della premier e dell’intera destra, il referendum sulla riforma costituzionale, diventerebbe una via crucis.

Insomma se domenica dovesse andare male per il centrodestra, all’orizzonte si staglierebbe il temutissimo spettro che una vittoria esorcizzerebbe invece subito: quello di Matteo Renzi e della sua rapidissima, vertiginosa caduta.

6 Marzo 2024

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