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Intervista ad Arturo Scotto: “Rafah è un monumento alla vergogna internazionale”

Intervista ad Arturo Scotto: “Rafah è un monumento alla vergogna internazionale”

Arturo Scotto, parlamentare PD e membro della Direzione nazionale, di ritorno da Rafah. Cosa porta con sé sia dal punto di vista politico sia sul piano personale?
La delegazione che si è mossa per recarsi al valico di Rafah è stata la più larga e inclusiva d’Europa. 14 parlamentari di tre gruppi diversi, le ong più importanti del paese, accademici, giornalisti. Innanzitutto, un fatto politico. Perché non era mai accaduto nel passato recente che si costruisse un’alleanza di scopo così ampia attorno a un obiettivo di carattere umanitario: aiutare un convoglio di beni di prima necessità a entrare a Gaza. Il primo messaggio che mi viene da dare è il seguente: giù le mani dalle Ong che lavorano per salvare vite umane negli scenari di guerra. Vanno garantiti tutti gli strumenti perché esse possano operare in autonomia e sicurezza, senza intrusioni da parte della politica e dei governi. Sono la meglio gioventù del nostro paese, quella che non dichiara a parole il principio di solidarietà, ma la costruisce giorno per giorno e rischiando spesso la vita in prima persona. E la sinistra deve saperli ascoltare senza metterci il cappello sopra. Non può restare un episodio isolato questa missione a Rafah. Allo stesso tempo, devo ringraziare l’ambasciata al Cairo che si è adoperata per consentire un passaggio che non era scontato perché le autorità egiziane non sempre accordano permessi per entrare in Sinai.

E sul piano personale?
Dal punto di vista umano sono abituato a trattenere i sentimenti per me, cerco sempre di mettere davanti la dimensione politica rispetto a quello che avverto sulla mia pelle. Ma accanto allo sconcerto e la rabbia, quello che emerge con più forza è il disappunto. Non esiste alcun angolo del globo dove si faccia marcire così la situazione e per così lungo tempo. C’è un popolo in trappola, chiuso a nord, a sud e a est. Gli aiuti umanitari arrivano a singhiozzo e le bombe uccidono centinaia di persone quotidianamente. Quello che abbiamo visto a Rafah è il simbolo dell’impotenza della comunità internazionale davanti a una guerra che è ormai è dichiarata esplicitamente contro i civili. Netanyahu stesso ha sostenuto che non esistono civili a Gaza, perché sono tutti fiancheggiatori potenziali di Hamas. Una colpa collettiva, insomma. Sono degli “statement” che non lasciano spazio a dubbi: l’obiettivo è svuotare la Striscia, spostare una massa enorme di persone verso il Sinai e lasciarle lì per decenni. Consentire questo scenario getterebbe discredito sulle classi dirigenti non solo israeliane, ma anche occidentali. Che sarebbero percepite da larga parte dell’opinione pubblica – soprattutto araba, ma non solo – come protagoniste di un doppio standard e di un uso discriminatorio del diritto internazionale. Invece il diritto internazionale va fatto rispettare sempre.

Cosa fare?
Bisogna intervenire ora, basta con le risoluzioni delle Nazioni unite che vengono ogni volta respinte attraverso l’esercizio di veto. Si trovi una formula per il cessate il fuoco. Che è la condizione fondamentale per far arrivare gli aiuti umanitari. Occorre offrire una prospettiva alla questione palestinese. La Lega araba ci ha detto: smettetela di pensare a soluzioni costruite sulla loro testa. Se invece si insisterà su questo terreno si lascerà aperta la strada a forme di estremismo come Hamas, se non addirittura peggiori.

Da lontano si disquisisce su come definire ciò che sta accadendo a Gaza. Da un contatto ravvicinato?
Ci troviamo davanti alla negazione della possibilità di un popolo ad avere diritto a uno stato. Nonostante decine di risoluzioni Onu. Questo è accompagnato da una forma di disumanizzazione insopportabile. Sono persone, non numeri. E vanno trattate come tali. A Rafah siamo passati da duecentomila a un milione e mezzo di persone in cinque mesi. Le agenzie delle nazioni unite ci parlano di una situazione che va oltre la catastrofe. Perché accanto alle bombe, c’è la bomba più pericolosa che è quella epidemiologica. I casi di diarrea, di epatite A, di malattia della pelle aumentano in maniera considerevole. Resta sullo sfondo il rischio di colera. L’Oms ci ha detto che la loro proiezioni parlano di 85000 morti. Jared Diamond nel suo capolavoro “armi, acciaio e malattie” ci spiega quanto le epidemie stesse siano una conseguenza della guerra dall’inizio della storia umana. Qui le condizioni igienico sanitarie sono devastanti. Vanno affrontate subito. E chi le può affrontare sono inevitabilmente le organizzazioni umanitarie che sono sul campo. A cui vanno dati strumenti per poter lavorare. Invece vediamo che ci sono beni fondamentali che non arrivano a Gaza. I beni salvavita: quelli che servono per curare le persone. Stoccati in magazzino perché rischiano di diventare pericolosi in quanto riutilizzabili nel conflitto. Parliamo di generatori, di gabinetti chimici, di incubatrici, di bombole. Io penso che siamo al limite della stupidità. Serve invece sbloccare quei 1500 camion che sono fermi alle porte di Rafah. Quelli sono una vergogna internazionale. E gli stati che hanno mandato aiuti in questi mesi dovrebbero essere i primi a ribellarsi.

Israele continua a mettere sotto accusa le agenzie Onu, a partire dall’Unrwa, e il governo italiano ha deciso di sospendere il suo già misero contributo. Dagli incontri avuti che idea si è fatto?
Per Israele l’Urnwa rappresenta un’anomalia da cancellare. Perché è un’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa esclusivamente dei rifugiati palestinesi in Siria, Giordania, Libano, West Bank, Gaza. Solo nella Striscia ha tredicimila addetti stabili e diecimila a tempo determinato. È un’infrastruttura che in questo momento assiste un milione di persone. Al valico abbiamo incontrato Scott Anderson, americano, direttore dell’Unrwa a Gaza: ci ha detto che è un buon giorno se nella Striscia entrano una quarantina di camion. Ne occorrono centinaia in più. Eppure, loro continuano a cercare di garantire educazione per bambini, cure – gli hanno distrutto tantissime strutture di servizio, ne avevano più di trecento – e un pasto caldo. Non reggono più nemmeno loro. Ma se scomparissero sarebbe un vero e proprio collasso umanitario. Non possiamo permettercelo. Ci sarebbero 12 addetti di Urnwa implicati nei terribili attentati del 7 ottobre. Si può sciogliere un’agenzia Onu per 12 infedeli? È come se si sciogliesse la Protezione civile perché ci sono 12 funzionari corrotti.
Se scompare l’Unrwa dalla Striscia è come se la comunità internazionale alzasse bandiera bianca. Lasciando questo disastro senza testimoni. L’Ue una settimana fa ha finalmente versato la quota di 50 milioni a questa struttura. L’Italia invece ha sospeso i fondi. Una vergogna. Poi ci meravigliamo se il nostro paese perde credibilità davanti a un pezzo di mondo. Abbiamo scritto alla Meloni una lettera chiedendogli di venire a Rafah. Si renda conto di persona parlando con Unrwa, Ocha, Oms, Mezzaluna Rossa. Con quelli che sono sul campo, insomma. Dia un messaggio al mondo che l’Italia c’è laddove si manifesta una sofferenza così grande e inaccettabile. E soprattutto dia seguito a quanto ha votato il Parlamento: cessate il fuoco.

Sabato a Roma un arco molto ampio di associazioni ha indetto una grande manifestazione nazionale per la Palestina. E il PD?
Serve alimentare nel paese una domanda di pace e dunque sono importanti le mobilitazioni di piazza come queste. Promossa da un mondo di associazioni ampio e plurale e dalla Cgil. Il PD è il partito che con più forza ha lavorato perché l’Italia si schierasse per il cessate il fuoco. La mozione che è passata aveva come prima firmataria Elly Schlein. Allo stesso tempo va difesa la democrazia. C’è una generazione che – magari con parole d’ordine confuse e spesso nemmeno del tutto consonanti con le nostre – si sta mobilitando per i diritti dei palestinesi. Bisogna dialogarci e ascoltarla, senza metterci il cappello sopra ma senza nemmeno banalizzare questo ritorno all’impegno politico. Ma soprattutto le va garantito il diritto a dire la propria. E invece questa destra ha ripreso ad avere dimestichezza con il manganello. Tutto questo è inaccettabile. Ho ascoltato addirittura alla Camera dei deputati, durante l’informativa del Ministro Piantedosi, un deputato della Lega che ha rivendicato le misure di ordine pubblico prese a Pisa perché la responsabilità degli incidenti sarebbe da attribuire ai genitori e agli insegnanti che hanno educato male gli studenti che in piazza usano parole d’ordine troppo radicali. Penso che collegare la lingua con il cervello non sia ancora un privilegio che appartiene all’intero genere umano.