La Procura di Perugia diretta da Raffaele Cantone era interessata a conoscere se il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi avesse avuto rapporti con l’avvocato Piero Amara, ex legale dell’Eni e gola profonda di almeno 5 o 6 Procure.
La circostanza quanto mai singolare emerge dagli atti relativi al procedimento sulla Loggia Ungheria che ha determinato, in una costola dello stesso – quello sulla rivelazione del segreto d’ufficio riguardo la diffusione dei verbali delle dichiarazioni di Amara ai pm di Milano – la condanna a un anno e tre mesi di prigione per Piercamillo Davigo.
Rispondendo ad una domanda dei pm di Perugia, Amara dichiarò candidamente di aver avuto un “conto aperto” presso il ristorante “La Taverna Urbana” di Roma. E fra coloro che potevano usufruirne vi sarebbe stato proprio l’allora prefetto Matteo Piantedosi, attuale capo del Viminale.
“Il gestore a fine mese mi comunicava l’elenco delle cene ed io provvedevo al pagamento. Ovviamente tali pranzi erano offerti per mantenere delle relazione e creare rapporti”, sottolineò Amara.
Non è dato sapere se la circostanza risponda al vero o meno. Leggendo però gli atti trasmessi lo scorso anno da Cantone al collega milanese Marcello Viola e da quest’ultimo depositati nel procedimento contro Amara per la calunnia relativa alla Loggia Ungheria, di cui non venne provata l’esistenza, il nome di Piantedosi compare spesso.
Nelle 167 pagine della richiesta di archiviazione avanzata da Cantone nel procedimento perugino sulla Loggia Ungheria, il nome di Piantedosi viene citato infatti per ben dieci volte, pur essendo il ministro del tutto estraneo a questo sodalizio paramassonico. Anche perché Amara, fra le decine di nomi di sedicenti appartenenti alla Loggia, non aveva mai indicato quello di Piantedosi.
Nonostante ciò, Piantedosi era finito nel mirino dei pm di Perugia, ad esempio tramite alcune domande poste a Denis Verdini sui rapporti tra Amara e l’allora prefetto.
Se questi rapporti fossero comunque stati penalmente rilevanti, avrebbe dovuto indagare la Procura di Roma e non certo quella di Perugia posto che, come detto, Piantedosi non era indicato come appartenente alla fantomatica Loggia.
Che si tratti di attività giudiziarie di difficile comprensione risulta del resto anche dall’assenza di domande e approfondimenti sui rapporti, pure riferiti da Verdini, tra Amara e l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone il quale, contrariamente a Piantedosi, si era occupato dell’avvocato siciliano per ragioni di ufficio avendo trattato importanti procedimenti penali a carico di quest’ultimo. Eppure su Pignatone non venne fatta alcuna domanda.
La sollecita e ripetuta attenzione della Procura di Perugia nei confronti di Piantedosi resta dunque un mistero e fa il paio con quella nei confronti dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara il quale, pur non essendo anch’egli indicato tra gli appartenenti alla Loggia, è stato investigato in lungo e in largo.
Palamara viene citato nella richiesta di archiviazione addirittura 111 volte, quasi una volta per ogni pagina. Le indagini, per la cronaca, vennero affidate alla solita guardia di finanza che non aveva in passato offerto risultati molto esaltanti.
Il maggiore del Gico Fabio di Bella, nel processo che si sta svolgendo sempre a Perugia nei confronti di Palamara ed il giudice Stefano Fava per l’asserita loro campagna stampa contro Pignatone ed il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, e la cui sentenza è attesa prima dell’estate, aveva dovuto confessare che il suo reparto consegnava le informative ad Amara, indagato principale del procedimento, prima ancora che esse fossero depositate alla Procura e, in alcuni casi, avvisandolo in anticipo delle perquisizioni che dovevano essere effettuate.
Nei giorni dei dossieraggi del finanziere Pasquale Striano, quanto accaduto nei confronti di Piantedosi è forse un altro aspetto che andrebbe chiarito.