Io francamente non sapevo che ci sono almeno mille stranieri imprigionati qui da noi come “scafisti”. Credevo che si trattasse dell’arresto di pochi disgraziati, laceri quanto i poveracci stipati sulle tinozze di cui stavano al disperato comando.
Devo l’informazione a un triangolo di notizie: una nota mattiniera di Francesco Cundari, su Linkiesta, che rimanda a un articolo del New York Times il quale, a sua volta, rinvia ai numeri del Viminale sui frutti sinora dati dalla caccia agli scafisti lungo tutto il globo terracqueo, per stare alla definizione della presidente del Consiglio.
Occupandosi del film Io Capitano, nei giorni scorsi sulla ribalta hollywodiana e lì (si permetta una battuta) ingiustamente ostacolato dalla lobby giudaica, il quotidiano statunitense osserva con esatto puntiglio che il protagonista del film qui da noi non sarebbe stato l’eroe che salva dei migranti portandoli attraverso il mediterraneo, ma il cinico mercante di esseri umani da ammanettare all’approdo e da mandare in compagnia degli altri che, a centinaia, abbiamo avuto la ferrea saggezza di sbattere in galera.
La propaganda governativa circa il blocco dell’ “invasione” tramite i ferri ai polsi di gente che non si arricchisce trasportando i disgraziati, ma condivide con questi pressappoco la stessa situazione di povertà, presenta dunque anche quest’altro tratto ripugnante: che non infierisce neppure sui presunti burattinai della sostituzione etnica, ma su persone obbligate dal bisogno o dalle circostanze a fare ciò che in un film suscita applausi e lacrime.
E il fatto è che non si tratta (questo è il punto) di numeri esigui. Carceri che qualche strana leggenda racconta un filino sovraffollate sono adibite all’indispensabile custodia di centinaia di persone che per la stragrande maggioranza non solo non risultano pericolose, ma che addirittura dovremmo considerare meritevoli di qualche riconoscimento visto che portano in salvo dei loro simili (e simili anche nostri, diciamo tra parentesi).
Perché emerge anche questo, dai dati del Ministero della Caccia ai Migranti: emerge che solo il 17% degli arrestati abbia ritratto qualche forma di profitto dal “traffico” di cui si sono resi responsabili, e questo significa che agli altri ottocento e passa siamo in grado di addebitare il delitto osceno di aver salvato la vita a gente che scappava dalla guerra, dalla fame e dalla persecuzione.
Ci sarebbe da farne un altro film, ma occorrerebbe girarlo in neorealismo carcerario, da dietro le sbarre. E nei titoli di coda i giusti riconoscimenti ai dicasteri della sicurezza che proteggono l’Italia da quei criminali.