Lo scontro
La guerra di Piantedosi e Meloni alle ong, il “cimitero” Mediterraneo resta senza soccorsi: l’Italia impedisce i salvataggi
Esteri - di Redazione
Il Mediterraneo svuotato per effetto del decreto Piantedosi che criminalizza le Ong. A denunciarlo sono le stesse organizzazione non governative in un appello comune dopo l’ultimo clamoroso caso che ha riguardato l’imbarcazione Sea Eye4, della ong tedesca Sea Eye. Lunedì la nave è stata sottoposta al fermo amministrativo di 60 giorni, il più lungo mai imposto ad una nave di soccorso in mare ai sensi del decreto Piantedosi, dopo esser giunta nel porto di Reggio Calabria con 144 migranti a bordo, di cui 40 minorenni.
Le ong contro il decreto Piantedosi
Al fermo della Sea Eye4 va aggiunto quello da 20 giorni della Humanity 1 a Crotone e della Sea Watch 5 a Pozzallo. Così “si inasprisce ancora la politica discriminatoria di detenzione nei confronti delle navi di soccorso. Tre navi umanitarie sono al momento bloccate dalle autorità italiane, impedendo loro di salvare vite nel Mediterraneo. L’Italia lascerà la rotta più letale al mondo senza soccorsi?”, si chiedono le ong.
Secondo la ong tedesca dietro il fermo c’è una “scelta politicamente motivata con un obiettivo: impedirci di salvare persone dall’annegamento per 2 mesi”.
Anche perché le motivazioni del fermo amministrativo di 60 giorni sono “giuridicamente insostenibili”. Come ricordano dalla ong, “la Sea Eye4 avrebbe dovuto annullare il salvataggio avanzato in acque internazionali giovedì dopo l’apparizione della cosiddetta guardia costiera libica e consegnare le 84 persone in cerca di protezione alle milizie che puntavano le armi contro il nostro equipaggio”.
Si inasprisce ancora la discriminatoria politica di detenzione nei confronti delle navi di soccorso. 3 navi umanitarie sono al momento bloccate dalle autorità italiane, impedendo loro di salvare vite nel #Mediterraneo. l’Italia lascerà la rotta più letale al mondo senza soccorsi? https://t.co/ut1SBmCQah
— SOS MEDITERRANEE ITA (@SOSMedItalia) March 13, 2024
La Cassazione e la Libia “porto non sicuro”
Circostanza che avrebbe reso la ong “penalmente responsabile di aver partecipato a un respingimento verso un Paese in guerra civile che viola il diritto internazionale, come confermato dalla Cassazione italiana proprio lo scorso febbraio”. Il riferimento è alla sentenza della Suprema Corte in relazione al caso della nave Asso28, un rimorchiatore che il 30 luglio 2018 riportò in Libia, nel porto di Tripoli, oltre cento migranti intercettati su un gommone in acque internazionali.
Per la Cassazione infatti favorire le intercettazioni della cosiddetta “guardia costiera” di Tripoli rientra nella fattispecie illecita “dell’abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone“. Nella sentenza viene sostanzialmente sancito che l’episodio del 2018 fu un respingimento collettivo verso un Paese non ritenuto sicuro vietato dalla Convenzione europea per i diritti umani.