“Quella di Davide è una storia comune a tanti che subiscono la deprivazione materiale e sociale. E anche e soprattutto di diritti. Come il diritto all’esistenza e ai servizi”. Così Barbara Pierro, presidente dell’Associazione Chi Rom e…Chi no che da oltre 30 anni opera a Scampia, quartiere della periferia a Est di Napoli. E’ l’associazione che ha raccontato la storia di Davide Jovanovic, 22 anni, rom del campo di Cupa Perillo, morto folgorato il 29 febbraio. Un ragazzo nato e cresciuto a Napoli, che due anni fa ha ottenuto anche la cittadinanza italiana – con una terribile storia di povertà di ogni genere, ma che per lo Stato praticamente non esiste perché in vita non aveva una residenza. E ora non può averla nemmeno dopo la morte perché gli è negata la sepoltura nel cimitero della città dove è nato ed è cresciuto.
“Oggi, con la bara bianca di Davide sospesa fuori il cimitero di Poggioreale che non si sa dove verrà seppellita – si legge nel post su Facebook di Chi Rom e…Chi no – apprendiamo che il diritto alla sepoltura spetterebbe solo a chi è in possesso della residenza. In attesa di riscontri da parte dell’amministrazione, sembra che continui ostinatamente nella morte come nella vita una sorta di ripudio, come se non si fosse figlie e figli della stessa terra, dello stesso mondo. Chiediamo con urgenza alle amministrazioni pubbliche di colmare questa carenza di diritti, anche se per Davide è troppo tardi, ce lo porteremo sulla coscienza”.
La storia di Davide
Nato in una famiglia poverissima che ha affrontato tantissimi disagi, sin da piccolo Davide era stato supportato da Chi rom e…Chi no in numerosi percorsi e progetti. Era nato in Italia, a Napoli, e italiano era diventato a tutti gli effetti quando poco più che 18enne aveva ottenuto la cittadinanza italiana. “Ci sembrava di aver conquistato un pezzo di dignità – continua Pierro – Ma nonostante la cittadinanza non aveva avuto la carta di identità. Davide viveva nel campo rom di Cupa Perillo, in una baracca di legno con il tetto fatto di lamiere. Una casa che crollava sotto la pioggia o un po’ di vento pi più. Dissero che non poteva avere la residenza perché la sua situazione abitativa era ritenuta al pari di una occupazione abusiva. A questo si aggiunge che il campo rom non è riconosciuto come luogo di residenza”.
La situazione drammatica nei campi rom
Eppure in quel campo rom abitano centinaia di persone, adulti e bambini, da oltre 40 anni. Abitano, dunque esistono. Ma in pratica non hanno il diritto a farlo. “I rom arrivarono a Scampia 40 anni fa quando fu creato l’insediamento abitativo. Sono qui dallo stesso tempo degli italiani – continua Pierro – Scampia è un caso esemplare di integrazione. Un quartiere che cerca il riscatto attraverso una miriade di iniziative. Eppure l’insediamento di Cupa Perillo è lasciato all’abbandono da oltre 10 anni”. Pierro racconta di una situazione esasperata ormai. Il campo rom è come una grande discarica a cielo aperto senza regole, buttata lì in un angolo di città lontano dagli occhi ma, per Chi rom e…chi no, non dal cuore. “Non ci sono servizi, non c’è raccolta e smaltimento dei rifiuti – continua Pierro – La strada che porta alla baracca dove abitava Davide è costeggiata da un muraglione di spazzatura altissimo. Cumuli di rifiuti e avvallamenti rendono difficile passare di lì anche con l’auto. La vita nel campo rom è precaria e insicura”. E la situazione è sempre al stessa da molti anni, senza una soluzione.
Michelle morta folgorata a 6 anni
Davide viveva in questo contesto difficilissimo. Il 29 febbraio è morto folgorato. “Poche settimane prima, il 14 gennaio, in un altro campo rom, quello di Giugliano, è morta un’altra bambina, Michelle. Aveva solo 6 anni. Queste morti non sono una casualità“, racconta Pierro. “L’area di Cupa Perillo a Scampia – denuncia l’associazione – è completamente abbandonata dalla pubblica amministrazione che riteniamo direttamente responsabile di far crescere intere generazioni nell’incuria e nel disagio abitativo ed esistenziale, condannandole alla sopravvivenza e non a una vita pienamente dignitosa, con conseguenze tragiche e disastrose, tra cui anche la scomparsa di Davide, morto folgorato dalla corrente elettrica, per essere sempre stato esposto fin da bambino a pericoli che nessuna e nessuno potrebbe nemmeno immaginare per i propri figli”. “Nessuna prospettiva per il miglioramento di questo luogo è una sconfitta per tutti”, aggiunge Pierro.
La residenza negata
L’associazione ha spiegato che Davide non aveva mai avuto un documento, neppure la cittadinanza italiana gli consentiva di ottenere la residenza, a causa del blocco delle residenze imposto dal cosiddetto Decreto Lupi, poi convertito con la Legge 80/2014 che all’art 5 comma 1 in base al quale: “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”. “Il comune di Napoli avrebbe potuto tutelare i diritti fondamentali della persona e della dignità umana facendo leva su quanto previsto dal Comma 1-quater in cui si stabilisce che ‘Il Sindaco, in presenza di – spiegano da Chi rom – persone minorenni o meritevoli di tutela, può dare disposizioni in deroga a quanto previsto nei commi 1 ed 1bis, a tutela delle condizioni igienico sanitarie” in primis definendo quali sono le categorie meritevoli e poi riconoscendo alle stesse il diritto di residenza e tutti i diritti a questo connessi”.
Il diritto di esistere e la sepoltura
“Avere la residenza significa avere il diritto ad esistere, ad avere un documento, all’assistenza sociale e sanitaria, l’accesso ai pochi diritti di welfare, per centinaia di persone rom, cittadini italiani, migranti, che vivono da sempre nella città di Napoli, e come nel caso di Davide che non ha mai trovato pace nè in vita, né in morte, nei cosiddetti campi non autorizzati di Cupa Perillo a Scampia e non solo. Forse perché agli occhi di una certa politica o dello Stato vivere in un posto occupato, in un campo rom in fondo è come essere già morti”, scrive ancora Chi Rom nel post.
Davide è morto all’ospedale di Giugliano ma la sua famiglia, i suoi amici, vorrebbero che fosse seppellito a Napoli dove è nato e vissuto. La sua bara bianca resta sospesa nel cimitero di Poggioreale in attesa di sapere dove andare. Una vicenda terribile che mette in luce tutti i paradossi di esistenze negate, private dei diritti e dei servizi essenziali, come quella di Davide. Per questo motivo Chi Rom ha deciso di scrivere una lettera al Comune di Napoli, un appello a fare qualcosa e a farlo presto. All’appello hanno aderito numerose associazioni del territorio e persone come Ascanio Celestini: “ Per Davide che non ha diritto nemmeno a un pezzo di terra per essere seppellito – ha scritto sui social – La residenza per avere il documento, l’assistenza sociale e sanitaria, per avere il diritto ad esistere”.
Aggiornamento – Il Comune autorizza la sepoltura di Davide
Alla fine la sepoltura di David Jovanovic è stata disposta “in via urgentissima” dall’assessore ai Cimiteri del Comune di Napoli, Vincenzo Santagada e dal sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. A darne nota l’assessore ai Cimiteri del Comune di Napoli Vincenzo Santagada, come riportato da Dire. “Ieri sera sono stato messo a conoscenza della questione – ha spiegato – e mi sono immediatamente attivato affinchè oggi stesso venissero espletate tutte le procedure per consentire di dare a questo ragazzo sfortunato una degna sepoltura presso il Cimitero della Pietà. In simili circostanze – ha aggiunto – ogni criticità, anche se non imputabile direttamente al nostro ente, va superata con la massima urgenza”. La vicenda di Davide lascia aperta una questione importantissima sull’importanza della residenza.