Il Pd: “Un golpe”
Salvini “di lotta e di governo”, la Lega ci riprova sul terzo mandato: spunta una norma per cancellare i ballottaggi
Politica - di Carmine Di Niro
Tra Lega e Fratelli d’Italia è nuovamente scontro. Dopo i risultati magrissimi incassati tra Regionali in Sardegna e Abruzzo, Matteo Salvini è nuovamente passato ad interpretare il ruolo di leader “di lotta e di governo”.
Il Carroccio ha infatti depositato un emendamento al “decreto elezioni” per permettere ai presidenti di Regione di essere eletti anche per un terzo mandato. Si tratta sostanzialmente dello stesso testo già bocciato in commissione Affari costituzionali nelle scorse settimane, tra l’altro dopo aver ricevuto il parere contrario del governo.
La Lega insiste sul terzo mandato
Un provvedimento che attualmente pare fatto su misura per Luca Zaia, il governatore del Veneto che vorrebbe puntare ad un terzo mandato in Veneto: Regione che però stuzzica gli appetiti di Fratelli d’Italia, mentre per Salvini perdere quella roccaforte sarebbe la pietra tombale sulla sua leadership nel Carroccio, già segnata dai risultati alle più recenti elezioni.
L’esecutivo ha deciso di rimettersi all’Aula in Senato, come già fatto in Commissione, garantendo ai parlamentari della maggioranza libertà di voto.
Ma i segnali nella maggioranza non sono positivi, anzi. Dalle parti di Palazzo Chigi si ritiene quello della Lega un atteggiamento di sfida, una provocazione. Raffaele Speranzon, vicecapogruppo a Palazzo Madama di Fratelli d’Italia, fa notare come “spiaccia” creare “spaccature su temi non in agenda”. “Noi speravamo che l’emendamento sul terzo mandato non finisse in Aula. Cercare o creare spaccature su temi che non sono nell’agenda nel centrodestra spiace. Ma non è niente di così grave”, ha detto all’agenzia LaPresse il senatore meloniano.
Battaglia, quella della Lega, nuovamente persa. Il Senato ha infatti bocciato l’emendamento che chiedeva di innalzare da due a tre il limite dei mandati dei presidenti di Regione con 112 voti contrari, 26 favorevoli e 3 astenuti.
Il blitz salviniano contro i ballottaggi alle Comunali
Ma non è l’unica battaglia leghista che sta provocando spaccature e polemiche. Un secondo emendamento al “decreto elezioni” punta a modificare le modalità di elezione dei sindaci nelle città in cui è previsto il ballottaggio, ovvero i Comuni oltre i 15mila abitanti.
La novità proposta da Salvini e soci consegnerebbe la vittoria al candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia superato la soglia del 40%: attualmente il sistema in vigore prevede la vittoria al primo turno solo se si ottiene la maggioranza assoluta dei voti.
Nel testo si legge infatti che “è proclamato eletto sindaco il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia conseguito almeno il 40 per cento dei voti validi. Qualora due candidati abbiano entrambi conseguito un risultato pari o superiore al 40 per cento dei voti validi, è proclamato eletto sindaco il candidato che abbia conseguito il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto sindaco il candidato collegato con la lista o con il gruppo di liste per l’elezione del consiglio comunale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva. A parità di cifra elettorale, è proclamato eletto sindaco il candidato più anziano di età”.
Per il capogruppo del Partito Democratico alla Camera, Francesco Boccia, quella della Lega sull’abolizione dei ballottaggi nei grandi Comuni “è una aberrazione, una provocazione, un colpo di mano inaccettabile contro leggi che hanno dimostrato di funzionare bene. È intollerabile che la Lega, per regolare conti interni alla maggioranza, giochi sulle regole della nostra democrazia. Il Dl Elezioni che doveva solo stabilire la data del voto è diventato un golpe al quale ci opporremo”.
Anche il governo contro il Carroccio
A riprova delle enormi tensioni nella maggioranza, anche il governo ha chiesto alla Lega di ritirare l’emendamento sulla cancellazione dei ballottaggi: il partito di Salvini dovrebbe trasformare l’emendamento in un ordine del giorno al decreto elezioni.
Richiesta accolta, come annunciato poi in Aula dal capogruppo del Carroccio Massimiliano Romeo: “Accogliamo l’invito alla trasformazione dell’emendamento in ordine del giorno – hale sue parole -, su questo tema possiamo comprendere che a due mesi dal voto sarebbe non corretto, quindi ci può stare. Per noi era importante porre la questione“. L’ordine del giorno è stato poi approvato dall’Aula del Senato con 81 sì, un voto contrario e nessun astenuto. “Questa volta è un ordine del giorno, la prossima volta, e lo diciamo al governo, l’emendamento lo terremo fino alla fine e lo metteremo ai voti“, ha annunciato però Romeo.