Stencil e guerra
Eduardo Castaldo, da fotoreporter alla street art sul Banksy napoletano: “Ha potere curativo, Hamas è strumento di Israele”
Ha vissuto in Cisgiordania e in Egitto, ha realizzato le foto di scena di "L'amica geniale". L'esperienza da fotoreporter e l'abbandono per ragioni etiche dopo aver vinto il World Press Photo. "Ho lasciato quando ero all'apice". L'intervista
Cultura - di Antonio Lamorte
Eduardo Castaldo ci ha pensato più di un momento prima di rivendicare: quando ieri mattina uno stencil è comparso sulla “Madonna con la pistola” – l’opera di Banksy in piazza dei Gerolomini a Napoli per lungo tempo l’unica dello street artist più famoso al mondo in Italia – alcuni media hanno attribuito quell’intervento allo stesso Banksy. Anche un’opportunità, un boost al messaggio: al posto della pistola la scritta “GAZA”, ai piedi della Vergine un cumulo di bambini. Secondo il ministero di Hamas dall’inizio delle operazioni via terra e via aerea di Israele nella Striscia, scatenate dagli attacchi del 7 ottobre, sono stati uccisi oltre 12mila bambini. Lo stencil non ha intaccato l’opera: qualche anno fa commercianti del posto hanno applicato a protezione una teca, quasi fosse un’edicola votiva di quelle tipiche del Centro Storico.
“Quella teca mi ha sempre fatto un po’ ridere, va contro i dettami della street art. Erano anni che la volevo dissacrare, gli eventi hanno fornito un motivo più che valido”, spiega all’Unità Castaldo che negli ultimi mesi ha tappezzato la città con i suoi stencil a supporto della causa palestinese. È stato fotoreporter, ha vissuto per anni in Medio Oriente, è stato premiato al World Press Photo. Ha interrotto per ragioni etiche quella carriera. È fotografo di scena: suoi gli scatti della serie tv L’amica geniale, ispirata alla saga di romanzi di Elena Ferrante. Il suo primo cortometraggio in live action, Gioia, prodotto da Mutamenti Scarl ed Edie Filmsche, è in concorso per il David di Donatello 2024.
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Per i suoi stencil sulla guerra in Medio Oriente è stato intervistato da media stranieri, neanche un italiano. “Soprattutto all’inizio di questa crisi c’è stata poca arte a sostegno della causa palestinese. Per me ha un ruolo curativo, vedo che è così anche per altre persone. Se un’opera d’arte è riuscita colpisce direttamente, perché non è mediata: arriva. La street art è stata anche una maniera per riappropriarmi della mia esperienza di fotoreporter”.
Era la stampa, bellezza
A camminare in mezzo alle macerie, cercare le storie da raccontare, madri che piangevano figli uccisi, padri disperati per le case distrutte dalle bombe, non si era mai sentito completamente a suo agio, qualcosa non tornava. “In quel circo senti l’adrenalina e la voglia di successo, anche se sei mosso da motivi nobili come il racconto e la denuncia, che ti spingono per avere riscontro in Occidente. Realizzi le immagini che i media utilizzeranno, che il pubblico digerirà: sei al confine tra la realtà dell’altro, la sua complessità, e la narrazione”. E però, quando Castaldo vedeva le sue foto accompagnare articoli di cui non condivideva il contenuto, il suo malessere aumentava. “È come un poeta che inventa una parola bellissima e poi ti dice: ‘Tieni, dammi 50 euro e dici quello che vuoi con questa parola’. Mi sembrava di tradire le persone che avevo fotografato in condizioni drammatiche”.
Chi è Eduardo Castaldo
Ha cominciato da ragazzo, aveva un reportage fatto e finito sull’emergenza rifiuti in Campania prima che il caso esplodesse del tutto. “Ho pubblicato la mia prima foto su Le Monde, ho praticamente saltato la gavetta”. Ha continuato su Der Spiegel, El País, Time. Per motivi familiari si è trasferito in Medio Oriente: ha vissuto in Cisgiordania e in Egitto. È arrivato al Cairo poco prima dell’esplosione della Rivoluzione di Piazza Tahrir, per uno scatto di quelle proteste è stato premiato nella categoria Spot News del World Press Photo.
“Ho lasciato quando ero all’apice. Andare negli scenari di conflitto, a Gaza, conoscere gente e fotografarle, tornare in Occidente e fare mostre, sentirsi dire: ‘Che bravo, che coraggio’, tutto questo mi sembra perfettamente ipocrita. Quando vivi sul posto ti accorgi di quello che viene tagliato fuori dal racconto. Leggevo gli articoli che le mie foto accompagnavano e, al di là del prestigio della testata, spesso non corrispondeva a quello che sentivo io, alle mie esperienze e responsabilità, ho deciso di smettere”. È tornato in Europa, a Napoli. Si è dato al cinema. Ha abbandonato il suo archivio fotografico.
A Port’Alba, la storica strada dei librai nel centro antico di Napoli, si è presentato qualche tempo dopo con delle stampe e della sabbia mischiata a brillantini. La sua prima opera di street art riprendeva manifestanti al Cairo, un anno dopo la scoperta del cadavere di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto. “Ciò che è successo a Giulio sta succedendo ora a migliaia di egiziani. Chiedere verità per Giulio senza chiederne per l’Egitto è pura retorica. Non potrà esserci giustizia per Giulio senza giustizia per l’intero Egitto”. Le foto erano quelle che lui stesso aveva scattato durante la Rivoluzione, la street art è diventata una maniera per far pace con l’esperienza da foto reporter. “Chi si racconta, chi si lascia intervistare e fotografare dopo che gli hanno bombardato la casa o ucciso un familiare, ha la speranza che tu possa dare voce al dolore, all’ingiustizia che sta subendo. È come se tu facessi una promessa a quelle persone. Mi sono sentito per la prima volta libero di utilizzare quelle fotografie”.
For Gaza
Già l’8 ottobre, il giorno dopo i massacri di Hamas nel Sud di Israele che secondo le autorità hanno causato oltre 1200 vittime e più di 200 ostaggi, Castaldo pubblicava sui social la foto di una sua opera a supporto della causa palestinese: una donna che lancia un secchio di vernice sui soldati israeliani. Erano i giorni dei racconti delle stragi nei kibbutz, dei video degli ostaggi prelevati dai terroristi di Hamas. “Quell’opera era vecchia, ha avuto un grande riscontro anche in Medio Oriente. Chi conosce un po’ la questione palestinese già immaginava dove gli eventi sarebbero andati a parare”. Secondo gli ultimi dati del ministero di Hamas le vittime dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza sono oltre 31mila i morti e più di 73mila i feriti. Si parla anche di genocidio: certo una carneficina.
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Castaldo però solleva diversi dubbi sul racconto degli attacchi di Hamas del 7 ottobre, non è convinto nemmeno degli stupri al contrario sostenuti da “chiare e convincenti informazioni” secondo un rapporto delle Nazioni Unite. “Quello che penso di Hamas non piace nemmeno ai palestinesi: per me è uno strumento nelle mani di Israele. Ricordo quando è scattata l’operazione Piombo Fuso: sono caduti a pochi metri da me quei razzi artigianali che hanno scatenato l’operazione. Sembravano giocattoli, dovevano davvero prenderti in pieno per farti un danno. È la costruzione del nemico: senza Hamas tutto quello che fa Israele non sarebbe giustificato”. Altri dubbi partono sempre dalla sua esperienza sul campo.
“I servizi segreti israeliani sanno tutto quello che succede nella Striscia. Mi sembra fuori dal mondo che non si siano accorti delle esercitazioni dei miliziani e che il confine più controllato del globo sia stato sfondato e attraversato in quella maniera. Ismail Haniyeh (il capo politico di Hamas, che vive in Qatar, ndr) lo incontravo in spiaggia e al ristorante, ma Israele non ha mai rovesciato la leadership di Hamas. D’altronde lo ha riconosciuto anche Netanyahu in un discorso alla Knesset”. Si riferisce alle parole attribuite al premier palestinese nel marzo del 2019, a una riunione dei deputati del partito Likud: un discorso citato da giornali internazionali come The Guardian, The New York Times e dall’israeliano Haaretz, e al parlamento Europeo anche dall’Alto Rappresentante degli Affari Esteri Josep Borrell.
“Chiunque voglia impedire la creazione di uno Stato palestinese, chiunque voglia assicurarsi che uno Stato palestinese non esista mai, deve sostenere il rafforzamento di Hamas. E trasferire denaro a Hamas. Questo è quello che stiamo facendo. Fa parte della nostra strategia. Finanziare Hamas per garantire che uno Stato palestinese non esista mai”. Di quelle parole non esistono testimonianze video. Il premier israeliano ha comunque ribadito più volte negli ultimi mesi che non c’è alcuna possibilità per la soluzione dei due Stati.
Banksy napoletano
Per intervenire sul Banksy napoletano Castaldo è sceso di casa di mattina presto, all’alba. Poco dopo le foto stavano già sui giornali. Soltanto in tarda mattinata ha rivendicato l’azione, con un video sui suoi social. “Quando ho cominciato con la street art credevo poco nel suo potere, oggi ha un senso per me, per chi pensa che anche l’arte sia dalla sua parte, e anche per chi sente la solidarietà come i palestinesi che si trovano in ogni parte del mondo e vedono quello che sta succedendo a Gaza. È una sofferenza per noi, figuriamoci per loro”. Castaldo per una delle sue opere è stato multato, identificato e portato in Questura, perquisito lui e la sua auto. Non ha smesso. Lo stencil sulla “Madonna con pistola” intanto è durato poco. Qualche ora dopo era già stato rimosso.
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Piccola raccomandazione non richiesta: quella foto di Lila sposa, interpretata da Gaia Girace, scattata a Caserta Vecchia con una vecchia Rolleiflex biottica 6×6, che ha un ruolo da oggetto magico nella saga, e quindi nella serie tv di Saverio Costanzo “L’amica geniale”, ha girato parecchio, è stata in mostra anche all’estero. “Il fotografo era stato fortunato, sentii che aveva colto la forza di cui aveva parlato Stefano, era una forza – mi sembrò di capire – contro cui nemmeno Lila poteva nulla”, il passaggio di Elena Ferrante. Al momento quella foto non è esposta. Ci sono murales molto meno entusiasmanti che raccolgono consensi e visitatori. A qualcuno potrebbe venire una buona idea.
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