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No al terzo mandato per i governatori, da Zaia a De Luca ecco chi non si potrà candidare

No al terzo mandato per i governatori, da Zaia a De Luca ecco chi non si potrà candidare

La Lega ripresenta in aula, al Senato, l’emendamento al decreto Elezioni sul terzo mandato per i presidenti di Regione, già bocciato in commissione a stragrande maggioranza, e manda in bestia Fratelli d’Italia. Non perché ci fossero timori di sorta sull’esito del voto.

Il governo, come già in commissione, non ha espresso parere e si è rimesso a un’aula nella quale tutti tranne Iv, che ha presentato un emendamento identico, erano contrari a innalzare il tetto dei mandati per i governatori.

Ma pochi giorni prima, nel pranzo dei quattro leader seguito alle elezioni in Abruzzo, la premier si era raccomandata di non mettere in piazza divisioni interne.

Il voto in Basilicata è imminente e dall’esito molto incerto. Regione piccola, appena 400mila aventi diritto al voto e nelle urne, prevedibilmente, se ne recherà più o meno la metà.

Ma ormai ogni prova elettorale finisce per avere risonanza nazionale, il governatore uscente e ricandidato, il forzista Vito Bardi, traballa e per dargli una mano occorre mostrarsi compattissimi.

A tavola Salvini aveva condiviso il saggio ragionamento ma evidentemente credendoci poco: a decidere di andare avanti con l’emendamento è stato proprio lui e cosa c’è di più platealmente divisivo di un voto con maggioranza spaccata nell’aula del Senato?

Come se non bastasse la Lega, a sorpresa e senza preavvertire nessuno, ha presentato un secondo emendamento che abolisce il ballottaggio per l’elezione dei sindaci: il più votato, purché abbia superato la soglia del 40%, sarebbe eletto già al primo turno.

“Speravamo che l’emendamento non arrivasse in aula. Spiace creare divisioni su temi che non sono nell’agenda del centrodestra”, sibila il vicepresidente del gruppo tricolore Speranzon ma l’irritazione degli alleati trapela soprattutto dalle motivazioni con cui viene spiegata la decisione di affossare la proposta della Lega.

Sin qui FdI si era affidata sempre a giustificazioni tecniche, l’inopportunità di introdurre per decreto e con un blitz una riforma così importante.

Ora Rampelli mette in campo la necessità del “ricambio generazionale”, cioè una motivazione politica e non solo tecnica del no all’emendamento, e tanto i tricolori quanto gli azzurri si dicono apertamente contrari a innalzare la soglia dei mandati ora e sempre.

Il secondo emendamento, quello sui ballottaggi, aveva provocato una vera e propria sollevazione nelle file dell’opposizione, con la segretaria Schlein in prima fila: “Questo è uno sfregio alle più basilari regole democratiche”.

L’ha presa male anche il governo, che ha invitato la Lega a fare un passo indietro e qui Salvini si è mostrato conciliante, accettando di trasformare l’emendamento in un molto più innocuo odg.

Sul terzo mandato invece ha deciso di tenere duro sino all’ultimo, sino alla prevista e anzi certissima sconfitta ed è una scelta difficilmente spiegabile.

È finita come tutti potevano prevedere: il Senato ha bocciato l’emendamento della Lega che chiedeva di innalzare da due a tre il limite dei mandati dei governatori delle Regioni.

I sì sono stati 26, i no 112 e gli astenuti 3. Il relatore Alberto Balboni (Fdi) aveva espresso parere contrario, mentre il governo, con la sottosegretaria Wanda Ferro, si era rimessa all’Aula.

L’idea di riproporre l’emendamento in aula, pur nella certezza di una sconfitta, era nata con l’obiettivo di far emergere la spaccatura nel Pd, dove impazzava in quel momento la ribellione degli amministratori, favorevoli all’innalzamento del tetto a differenza della segretaria.

Sono passate poche settimane ma il quadro nel Pd è completamente cambiato. Elly è uscita molto rafforzata dalla doppia prova elettorale, i ribelli hanno rinunciato a uno scontro aperto che Bonaccini, alla vigilia delle elezioni in Sardegna, aveva già annunciato.

Oggi la leader è intoccabile e infatti il gruppo ha deciso di bocciare di nuovo l’emendamento, concedendo agli amministratori solo uno spiraglio: un odg che invita il governo a cooperare con Comuni e Regioni per una riforma complessiva delle amministrazioni locali.

Perché dunque Salvini abbia deciso di ingaggiare una battaglia perdente, che renderà quasi impossibile riproporre il terzo mandato anche dopo le europee e senza più alcuna speranza di trovare una sponda preziosa nel Pd è misterioso.

Forse voleva dimostrare a Zaia, parte in causa perché l’innalzamento dei mandati serviva proprio a permettere al governatore veneto, che di mandati ne ha già fatti 3, di correre per il quarto.

Oppure, più probabilmente, con un segnale simile il capo leghista in estrema difficoltà fa sapere all’alleata che sul Veneto, che Meloni vuole assegnare l’anno prossimo al suo partito, il Carroccio non è disposto a transigere.

I guai con la Lega non sono l’unico cruccio della premier all’indomani della vittoria abruzzese. L’altra grana però Giorgia ce l’ha in casa.

Ha deciso di bocciare la proposta della commissione d’inchiesta sul dossieraggio, un po’ perché trattandosi di una commissione d’inchiesta l’opposizione ne avrebbe chiesto la guida, molto, anzi moltissimo, perché il fango nel ventilatore sarebbe schizzato da tutte le parti, colpendo a manca ma anche a destra.

Molto meglio affidarsi all’Antimafia, che peraltro ha già poteri ispettivi. Solo che a proporre la commissione erano stati due ministri del suo partito: Crosetto informalmente, Nordio apertamente.

Soprattutto con il secondo la situazione è già diventata quasi imbarazzante: non c’è sua proposta che non venga cestinata a stretto giro dalla presidente.

Stavolta però il Guardasigilli avrebbe già incassato un risarcimento con i fiocchi: l’impegno a varare subito dopo Pasqua due provvedimenti chiave sulla giustizia, una nuova stretta sulle intercettazioni e soprattutto la riforma costituzionale con la separazione delle carriere dei magistrati.

Nella divisione delle riforme, alla vigilia delle elezioni del 2022, FdI aveva imposto il premierato, la Lega l’autonomia differenziata e Fi la separazione delle carriere, centrale anche per Nordio.

Delle tre, la terza era però finita nel cassetto, destinata a restarci per tutta la legislatura. Fi non pesava abbastanza per reclamare la sua parte del contratto. Le cose sono cambiate e la riforma che più di ogni altra infiammerà lo scontro politico potrebbe essere stavolta davvero a un passo.